Mario Draghi presidente della Commissione europea? Tutti gli interessati dalla notizia smentiscono, per ora resta una mera suggestione ma la possibilità che si realizzi dipende da troppi fattori oggi imponderabili.
Draghi in Europa ha un curriculum senza pari, nessuno ha occupato tanti incarichi di responsabilità per lungo tempo come l’ex premier italiano. Tuttavia, il segno che nei corridoi della diplomazia e dell’establishment europeo si faccia il suo nome per guidare la Commissione europea dovrebbe essere fonte di preoccupazione oltre che di speranza. È comprensibile l’auspicio, in uno scenario condizionato dalle guerre calde e fredde e da rischi economici rilevanti, che le istruzioni europee finiscano in mani sicure ma l’eterno ritorno delle stesse personalità non sono un buon segno per la classe politica.

Va anche considerato che Draghi non è un politico, non ha mai affrontato la prova del consenso democratico, questo non impedisce una sua nomina ma è chiaro che questa soluzione svuoterebbe di senso una istituzione, la Commissione europea, che invece si vorrebbe politica e rappresentativa. L’evocazione del nome di Draghi come carta migliore per un accordo largo in sede europea dopo le prossime elezioni di giugno è dunque il segnale che chi lo propone, i circoli vicini a Macron e Scholz, è in difficoltà, in una posizione di debolezza.

Detto in altri termini la leadership europea è in crisi e non riesce a rinnovarsi con credibilità. La mossa di proporre il nome di Draghi ha ovviamente anche un senso politico: i popolari, che saranno il gruppo parlamentare più grande secondo i sondaggi, dovrebbero bocciare un nome di grande qualità mentre il partito conservatore di Giorgia Meloni avrebbe difficoltà a non entrare in una maggioranza in cui Draghi è candidato come presidente della Commissione europea. Dal punto di vista dei liberali e dei socialdemocratici dunque c’è un senso logico e politico, che è quello di piegare gli alleati più forti con un nome inattaccabile. Può bastare per imporre Draghi ad una nuova maggioranza nel parlamento europeo? La democrazia ha spesso ragioni e passioni che travalicano i curriculum e l’esperienza e prima delle elezioni ha poco senso ragionare sui nomi.
Ne è consapevole lo stesso Draghi che ha subito precisato di non essere interessato al ruolo con una smentita scontata e doverosa. Certo è che i partiti europeisti registrano una certa difficoltà nel trovare una leadership sovranazionale forte, anche perché spesso a livello nazionale soffrono la concorrenza dei nuovi partiti di destra e di sinistra e nessuno dei leader europeisti degli ultimi vent’anni è riuscito a dare un impulso tale da costruire un’Unione europea politica e integrata in modo coerente. Sono fallimenti che pesano dopo tanti anni di promesse. Basti pensare ai due paesi cardine, Francia e Germania, dove l’estrema destra continua a crescere rischiando di sprigionare un terremoto politico nei prossimi anni. Ma il disagio europeo è forse ancora più profondo del mero ricambio politico: crisi demografica, immigrazione inarrestabile, arretratezza tecnologica e militare, divario economico crescente con gli Stati Uniti e la Cina sono il segno di un declino che sembra irreversibile e si ripercuote sulla politica.

Anche il ricorso allo stesso Draghi per stilare un rapporto sulla competitività del continente è un altro elemento che segna l’importanza dell’ex presidente della Bce e al contempo l’assenza di alternative anche di tipo tecnico. Per il nostro paese Draghi alla presidenza della Commissione europea sarebbe una buona notizia, ma non è detto che lo sia per il progetto politico europeo con partiti e leader che cercano riparo per l’ennesima volta dietro un grande tecnico.

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