Le mosse della Banca centrale europea erano attese e inevitabili. Si può rimproverare a Lagarde di essere rimasta vaga su come evitare gli aumenti dello spread (e aveva commesso un errore del genere anche all’inizio del lockdown), ma il dato di fondo non cambia.

La svolta era nell’aria già dalla fine dell’anno scorso: i prezzi cominciavano a salire ed era chiaro che a inizio 2022 la Fed avrebbe rialzato i tassi, mentre in Europa si prospettava il ritorno del patto di stabilità.

La guerra ha prolungato la sospensione del patto di stabilità, ma ha fatto crescere ancora di più l’inflazione in Europa, spingendo la Bce a prendere decisioni che, comunque, sono considerate generalmente blande, tanto in Germania, quanto negli Stati Uniti (dove si rimprovera a Lagarde di avere agito, semmai, troppo tardi).

In questo quadro, l’Italia ha oltretutto una crescita migliore del previsto.

Se lo spread continuerà a salire, sarà perché gli operatori finanziari non si fidano della politica. Ed è difficile dargli torto. Il centro-destra è lo schieramento dato vincente alle prossime elezioni.

Di fronte alle mosse della Bce, Salvini e Meloni hanno rispolverato i toni no euro, evocato complotti e chiesto addirittura una compensazione per l’Italia.

Questo mentre prospettando di mettere nel programma una flat tax generalizzata, che oltre a essere iniqua è insostenibile per le finanze pubbliche, e una nuova rottamazione delle cartelle, pure iniqua e che dà al sistema gli incentivi peggiori, rischiando di mandare all’aria anni di recupero nella lotta all’evasione.

Forse Salvini e Meloni non se ne rendono conto, o forse sì, ma sono proprio loro la spiegazione dell’aumento dello spread. E sono la rappresentazione plastica delle fragilità dell’Italia.

Tuttavia le responsabilità sono anche più diffuse. Dopo più di un anno la discussione in parlamento sulla riforma fiscale ha prodotto un testo che, senza risolvere nessuna delle storture del nostro sistema, ha dato un segnale generale di lassismo e fatto passare il messaggio che le tasse si possono solo ridurre, la redistribuzione è impossibile, le diverse rendite sono salve e bisogna essere indulgenti con gli evasori (di «buono» c’è che di un testo del genere il governo probabilmente non ne farà nulla: lavoro sprecato).

Le inefficienze e le iniquità del superbonus edilizio, peraltro ormai costosissimo, sono sotto gli occhi di tutti.

Di fronte alla fragilità dell’Italia, e alla postura sovranista di Salvini e Meloni, il centro-sinistra deve uscire definitivamente dalla politica dei bonus e dei sussidi discrezionali, che pure ha praticato, e proporsi senza ambiguità come la forza di un patto con l’Europa: investimenti, anziché bonus, e riforme eque e innovative (compresi fisco e catasto), in cambio di un forte sostegno dell’Unione nella lotta alle disuguaglianze e nella transizione energetica.

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