«Noi concepiamo la lotta alla mafia come un aspetto della più generale battaglia di risanamento e rinnovamento democratico della società italiana». Così afferma Pio La Torre nell’inquadrare gli obiettivi dell’azione antimafia, a partire dall’affermazione e la piena attuazione dei diritti fondamentali, che il sistema di potere politico-mafioso nega, perché ritenuti da ostacolo alla sua natura arcaica di matrice feudale e al suo fine ultimo: l’accumulazione illecita, attraverso il controllo dei processi decisionali pubblici.

Non basta la repressione

La classe politica appare ancora costretta nella logica che vuole che la lotta alla mafia sia, innanzitutto, contrasto e repressione e, per questo, affidata a magistratura e forze di polizia e, pur rivendicandone l’eredità, sembra non accogliere nella sua azione ciò che Pio La Torre afferma: il ruolo della politica è primario – visto che parliamo di fronteggiare un sistema di potere politico-mafioso – nell’indebolire quel sistema d’interessi che lega attori della politica, dell’economia e della criminalità organizzata – il fenomeno mafioso – opponendogli un’azione costante nell’affermazione dei diritti fondamentali, che la mafia non riconosce e avversa.

Di cosa parliamo, a quali diritti negati si fa riferimento? Dove il sistema mafioso agisce e controlla, il lavoro non è un diritto ma è concesso, in cambio del voto, che non viene espresso liberamente; l’impresa si può promuovere se si paga il pizzo; la nostra salute non è la priorità del dirigente della ASL, quando è nominato dal sistema mafioso, mentre lo è quella delle aziende del sistema, che devono aggiudicarsi gli appalti;

l’ambiente sano viene sacrificato agli interessi di quelle imprese che, per non pagare le imposte, si rivolge alla mafia e scarica rifiuti tossici e pericolosi illegalmente; la libertà d’informazione è lesa, se si pensa ai giornalisti uccisi, a quelli intimiditi e a quelli che vivono sotto scorta e la lista potrebbe proseguire.

«La mafia non è un fenomeno di classi subalterne destinate a ricevere e non a dare la legge, e quindi escluse da ogni accordo di potere, ma è un fenomeno di classi dirigenti … L’incessante ricerca del collegamento della mafia con i pubblici poteri presuppone, inoltre, l’ipotesi e l’interpretazione che non ci sia solo nella mafia un bisogno di stabilire collegamenti con i pubblici poteri, ma anche un bisogno dei pubblici poteri a stabilire collegamenti con la mafia. Cioè, tra le due parti vi è un rapporto di reciprocità».

Questo dice Pio La Torre e aggiunge: «I membri della mafia rappresentano una sezione niente affatto marginale delle classi dominanti, i cui interessi possono anche entrare in contraddizione, nello svolgimento dei fatti, con aspetti dell’attività della mafia stessa».

Da ciò ne discende che la lotta antimafia non può essere un’azione di parte ma deve comprendere tutta la società democratica nelle sue articolazioni politiche, sociali, economiche, culturali e, ultime ma non minori, istituzionali.

Solo un’azione corale, un’alleanza ampia si può contrapporre efficacemente ad un sistema di potere, si minoritario ma consolidato, che non vuole rinunciare ad approfittare del bene pubblico e fare strame dei diritti. Quando sono in gioco i diritti di tutti non si capisce perché dividersi, perché rivendicare primazie, invece di promuovere strategie condivise.

La gara

Invece, negli anni, abbiamo assistito ad una gara tra chi si ritiene più antimafioso degli altri, col risultato che, nel migliore dei casi, l’azione antimafia si è rivelata frammentaria, isolata, debole e inefficace. L’Italia, considerata per anni – Sicilia, Campania e Calabria in testa – il paese della mafia, primazia che non tiene conto della presenza di questo sistema di potere in molti paesi del mondo, può rivendicare di essere il paese più antimafia al mondo, grazie ad un insieme di norme e ad una coscienza civica diffusa, che costituiscono un patrimonio indiscusso e riconosciuto.

Quale migliore premessa per costruire su queste basi un fronte ampio e valorizzare questo patrimonio? Come mai si è preferito rivendicare il primato dell’azione di repressione e contrasto? Col risultato di fare affidamento su magistratura e forze di polizia che, tra l’altro, affermavano la necessità che l’azione antimafia dovesse coinvolgere tutti e che la loro somigliava a quella di voler svuotare il mare con un cucchiaio. Quali spunti offre e quali proposte avanza Pio La Torre?

«Per assestare colpi decisivi al sistema di potere clientelare e a tutte le forme di intermediazione parassitaria che offrono alimento alla cosche mafiose, occorre sviluppare una politica rigorosa che punti sullo spostamento di risorse dalla attività improduttiva verso sane attività produttive … Il cittadino che si trova di fronte ad una pubblica amministrazione, ad una Regione, ad un Ente Locale, che erogano servizi soddisfacenti è sollecitato al rispetto delle leggi.

Laddove, invece, prevalgono l’inefficienza, il clientelismo, la corruzione e il potere mafioso, il cittadino è spinto a fare da sé. L’ideologia del liberismo selvaggio spinge al rifiuto di ogni vincolo di legge. Si verifica una gara di emulazione in senso negativo».

L’antimafia non si può fare solo nelle cerimonie in ricordo delle vittime innocenti, cose giuste e doverose ma che, se limitate ai tristi giorni delle ricorrenze degli omicidi, lasciano il tempo che trovano e il vuoto intorno.

Il lascito delle vittime innocenti è nella loro vita e non nella loro morte. Persone che hanno svolto i loro compiti e assolto alle loro responsabilità nel rispetto dei doveri costituzionali e del valori civici fondanti la comunità cui sono appartenuti.

Non sono eroi, hanno soltanto fatto il loro dovere e questa è la loro eredità. Sta a noi coglierla e farla nostra nella nostra azione quotidiana. Che senso ha rivendicare l’eredità di una vittima innocente se non si è in grado di valorizzarla attraverso strategie e pratiche e non cadere nella strumentalizzazione?

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