Negli ultimi anni, le politiche ambientali europee hanno cambiato direzione. Con il Green deal del 2021, l’Ue ha puntato alla neutralità climatica entro il 2050, con un taglio del 55 per cento delle emissioni entro il 2030.

Il settore dei trasporti, responsabile del 10 per cento delle emissioni, era centrale, con lo stop ai motori a combustione previsto per il 2035. Tuttavia, nel 2025 la Commissione ha aperto a regolamenti più flessibili, sotto pressione dell’industria automobilistica. A questa crescente incertezza si sommano altri segnali preoccupanti come la riconfigurazione del bilancio europeo 2026, che prevede ulteriori investimenti in difesa, e la possibilità di dirottare fondi destinati alla coesione territoriale verso spese militari. Una trasformazione strutturale che mette in discussione la priorità della transizione ecologica. Ma soprattutto, che ignora il tema centrale: come finanziare in modo equo e stabile la transizione.

Investimenti non tagli

Per accelerare la transizione servono nuovi investimenti, non tagli. Se le risorse comuni europee saranno sempre più destinate alla difesa, diventerà fondamentale individuare nuove fonti di finanziamento che non pesino ulteriormente sulle fasce più deboli della popolazione.

Storicamente, in momenti cruciali come i periodi di guerra, i sistemi fiscali sono stati resi più progressivi per finanziare lo sforzo pubblico in modo equo, chiedendo di più a chi ha di più. Oggi, invece, sta accadendo il contrario: studi recenti mostrano che il sistema fiscale europeo è regressivo per i più ricchi — più si sale nella distribuzione del reddito, meno si paga in proporzione.

In Italia, ad esempio, il top 0,1 per cento versa in tasse il 36 per cento del proprio reddito, contro una media nazionale del 43 per cento. Questo squilibrio non è solo ingiusto, ma rappresenta anche un’occasione mancata per finanziare la transizione ecologica.

Strumenti fiscali

Nel volume European Public Investment Outlook: Financing Public Investment in an Era of High Public Debt, insieme agli economisti Andrea Roventini ed Elisa Palagi, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Tommaso Faccio della Nottingham University Business School, abbiamo analizzato come una riforma fiscale più progressiva possa contribuire a finanziare la transizione. Due misure, in particolare, emergono per efficacia e giustizia: una imposta sulla ricchezza e una riforma della tassazione dei capital gain.

L’imposta sulla ricchezza proposta colpirebbe solo l’1 per cento più ricco della popolazione europea, con un’aliquota dell’1 per cento sui patrimoni oltre 1,5 milioni di euro. Il gettito stimato sarebbe pari allo 0,6 per cento del Pil europeo. Una versione più progressiva – con aliquote fino al 3 per cento per patrimoni miliardari – potrebbe generare un gettito pari all’1 per cento del Pil europeo. Le critiche più comuni a questa misura, come il rischio di fuga di capitali, di espatrio dei cittadini e presunta mancanza di liquidità per pagare l’imposta, trovano risposte convincenti nella letteratura recente.

Un secondo intervento riguarda i redditi da capitale, che risultano estremamente concentrati e spesso sottotassati rispetto ai redditi da lavoro. La principale distorsione, riguarda i capital gain non realizzati, ossia i profitti derivanti dall'apprezzamento del valore dei beni che non sono stati concretizzati tramite la vendita e, di conseguenza, sfuggono alla tassazione.

In molti casi, questi beni vengono semplicemente trasferiti per via ereditaria o tramite donazione, eludendo così l’imposizione sul capital gain. Per correggere queste distorsioni, gli economisti Saez e Zucman (2021) hanno proposto di introdurre un’imposta periodica anche sui capital gain non ancora realizzati.

Con questa formula, applicando un’aliquota del 40 per cento, in linea con le imposte sul lavoro, si stima per l’Europa un gettito annuo stabile di circa 62 miliardi di euro (circa lo 0,4 per cento del Pil europeo), concentrato sull’1 per cento più ricco della popolazione. Si tratterebbe di un’imposta pari solo allo 0,3 per cento del patrimonio totale detenuto da questo segmento della popolazione.

Queste due misure, potrebbero generare fino all’1,5 per cento del Pil europeo, senza gravare sulla maggioranza della popolazione. Sono eque, perché correggono una distorsione evidente nel sistema fiscale attuale, in cui i più ricchi versano, in proporzione, meno del resto dei cittadini. Sono sostenibili, perché colpiscono ricchezze elevate spesso sottotassate. E sono necessarie, perché senza risorse aggiuntive la transizione ecologica resterà lettera morta.

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