Lo scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte è stato così rumoroso da oscurare le sue implicazioni politiche nei rapporti con il governo Draghi. Addentriamoci dunque in questa contorta materia armati di pazienza, perché il partito della semplificazione populista è riuscito a rendere le cose dannatamente complicate.

Fino a gennaio Giuseppe Conte era a capo di un governo che ha cercato di salvare in tutti i modi, anche con uno shopping di parlamentari in gruppi rivali che non si vedeva dai tempi del secondo governo Berlusconi. Non ha funzionato, caduto Conte i Cinque stelle più moderati e pragmatici, con la maggiore esperienza di governo, si sono riposizionati. E sono entrati nel governo Draghi. Nel caso di una scissione del Movimento, persone come il ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli starebbero con Conte (la sfinge Luigi Di Maio è imperscrutabile). Lo stesso ex premier ha promesso leale collaborazione con il governo Draghi, che pure aveva avversato in tutti i modi, e che oggi è sostenuto dal Pd di Enrico Letta con il quale Conte ha addirittura concordato alleanze e candidature per le elezioni amministrative di ottobre. Conte non ha alternative, se si schierasse all’opposizione del governo si troverebbe impotente: i ministri in quota sua dovrebbero dimettersi dal governo o rimanere nei Cinque stelle di Grillo, lui non è neanche parlamentare e ha truppe dalle dimensioni incerte.

Guardiamo le opzioni di Beppe Grillo: i Cinque stelle stanno nella maggioranza del governo Draghi perché lo ha deciso lui, “l’elevato”. Una scelta che ha spaccato il Movimento, portando all’espulsione dei contrari, tra i quali ci sono nomi noti come il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra e l’ex ministra Barbara Lezzi. Dopo aver perso questi militanti della prima ora, che rivendicavano lo spirito originario contro gli eccessi di pragmatismo governista, ora Grillo rischia di perdere anche la parte più moderata e ambiziosa che seguirebbe Conte per avere poltrone oggi e sperare in una ricandidatura domani.

Grillo non ha molta scelta, deve provare a recuperare i “grillini” storici. Che però sono all’opposizione del governo Draghi. Anche Alessandro Di Battista non vede l’ora di tornare in un Movimento depurato da Conte e dai compromessi, ma come condizione pone che i Cinque stelle tolgano l’appoggio all’esecutivo.

Per salvare quello che resta del suo partito Grillo potrebbe provare a ricompattarlo all’opposizione, ma questo significherebbe regalare a Conte l’intera delegazione in quota Cinque stelle nel governo Draghi e sconfessare le scelte più impegnative che “l’elevato” ha compiuto negli ultimi due anni. Cioè l’alleanza strategica con il Pd e l’evoluzione del Movimento in forza responsabile di governo collocata nel centrosinistra senza più una connotazione di populismo trasversale.

Se Conte e Grillo rimangono entrambi nella maggioranza, ci saranno due partiti fotocopia, gli elettori dovranno ogni volta consultare una guida per ricordarsi chi sta dove e perché. Al confronto il rapporto tra Pd e Italia viva sembrerà una passeggiata di salute. Vi è venuto il mal di testa? Inevitabile, perché questa crisi è originata dal fatto che prima Grillo si è messo a fare Conte, poi Conte ha deciso che doveva essere il nuovo Grillo, mentre il vecchio Grillo ha sconfessato il nuovo Grillo per tornare alle origini e intanto Conte rinunciava a fare Grillo per l’ambizione di diventare Enrico Letta e trasformare il Movimento in un partito uguale al Pd ma con meno voti. Buona fortuna…

© Riproduzione riservata