Aprire bocca è già troppo, figurarsi poi la parola scritta. Che lascia traccia indelebile, definitiva. È fin da quando sono ragazzo che sento favole su un “documento” della mafia che certifica la nascita e l'esistenza della mafia stessa. Con suoi comandamenti scolpiti in una sorta di Bibbia, impasto di regole e di malintesa religiosità perché, come ha rivelato uno di loro che si è pentito - Leonardo Messina, nato il 22 settembre del 1955 a San Cataldo, provincia di Caltanissetta - «si dice che noi siamo i discendenti diretti dell'apostolo Pietro». Si dice.

Lo stato si corteggia

L'altro giorno sono stati diffusi i dettagli di un'operazione di polizia sulla famiglia di Mezzomonreale, periferia palermitana dove hanno catturato sei mafiosi che sproloquiavano su com'è messa male Cosa nostra dopo la dittatura di Totò Riina. Dalle voci che risalgono da quel mondo ho avuto l'impressione che, i convenuti, fossero molto informati attraverso le cronache dei giornali. Ripetevano come pappagalli frasi già abbondantemente lette “sul delirio di onnipotenza del Corleonese che ci ha portati alla rovina”, sul tragico errore “di mettere mano con gli sbirri e mettere bombe ai giudici”, riflettevano sull'atteggiamento sbagliatissimo della guerra intrapresa contro lo stato “perché lo stato non si attacca ma si alliscia”, si corteggia.

Il revisionismo su Buscetta

Qualcuno si è perfino spinto a rivalutare la figura di Tommaso Buscetta decisamente oltre ogni limite: «Tuo nonno mi ha raccontato che Masino Buscetta aveva sei paia di coglioni». Il grande nemico, per la sua cantata al giudice Falcone al tempo del maxi processo, il cui nome nelle borgate di Palermo era diventato sinonimo di insulto («Sei cornuto e Buscetta», dicevano al posto di «cornuto e sbirro») oggi è addirittura indicato come esempio di vero uomo d'onore. Dialoghi che spiegano molto sull'aria che tira lì dentro: delusione, delusione e ancora delusione. Sono tutti sull'orlo di una crisi di nervi, quello che rivendica «le sei paia di coglioni» di Buscetta, sino a qualche anno fa sarebbe stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio.

Non oso immaginare cosa sentiremo nelle prossime intercettazioni ambientali quando avremo in pasto anche i commenti sulla cattura soft di Matteo Messina Denaro, uno che da latitante faceva selfie con medici e infermieri. Di certo è che il revisionismo va di moda anche da quelle parti, in una mafia allo sbando che è prigioniera di luoghi comuni, inesorabilmente contagiata dai giudizi esterni su di essa.

Poi uno dei boss di Mezzomonreale ha biascicato qualcosa “sullo statuto dei padri”, insomma sulla Costituzione di Cosa Nostra, facendo intendere che c'è qualcosa di scritto che attesta ufficialmente che Cosa Nostra c'è e vive insieme a noi. La notizia ha scatenato titoli a raffica sui quotidiani, come se fosse la prima volta che uno di quei mafiosi faccia riferimento a una “carta”.
A modo suo qualcosa l'aveva detta sempre quel Leonardo Messina, che nel novembre di una trentina di anni fa confessò «Sono a conoscenza che esiste una raccolta scritta delle regole di Cosa nostra da noi denominata Bibbia. L'ho saputo da Giambarresi Calogero di Riesi il quale ebbe a dirmi, una volta, che non era vero che non esistevano queste regole scritte e che questo libro era stato consegnato a Giuseppe Di Cristina».

Puntuali agli appuntamenti

Peppe Di Cristina era il capo della mafia di Riesi e aveva ricevuto, sempre secondo Messina, la Bibbia della mafia prima della sua uccisione - avvenuta nella primavera del 1978 - da un certo Salvatore Rizza, socio dei potenti Madonia di Caltanissetta. Conosco questo Rizza dagli anni del liceo, veniva chiamato "Rizzitteddu” per la bassa statura e la sua reputazione mafiosa non era eccellente perché aveva tentato persino una truffa ai danni del suo boss.

Tant'è che in seguito fu "posato”, allontanato da Cosa nostra. Possibile che la crema della crema della mafia siciliana abbia affidato la preziosa Bibbia a un personaggio così poco credibile? Fra le campagne di Riesi e di Mazzarino scavarono, in contrada Judeca. La Bibbia l'hanno cercata ma non l'hanno trovata.

Di scritti mafiosi, a parte i soliti pizzini e libri mastri, ci dobbiamo accontentare per il momento di qualche foglio bislacco rinvenuto nel covo palermitano dei Lo Piccolo di San Lorenzo. Un decalogo di divieti e doveri: “Non si guardano mogli di amici nostri, non si frequentano taverne, bisogna essere sempre disponibili anche se la moglie è incinta, si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti...». Assassini, ma molto rispettosi della puntualità.

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