Anche quest’anno la campagna elettorale è stata una “fiera” di promesse. Da quelle evergreen, come il ponte sullo Stretto, a quelle irrealizzabili anche perché contrarie al diritto, come il blocco navale, a quelle prive di copertura, cioè quasi tutte (il 96 per cento, come spiegato da Pagella Politica). Sembra quasi paradossale che il cittadino-consumatore sia protetto dal diritto rispetto a pratiche scorrette o ingannevoli quando acquista un qualunque prodotto, mentre il cittadino-elettore non abbia alcuna tutela a fronte della propaganda politica.

La tutela del consumatore

Il testo normativo di riferimento è il Codice del consumo, che riguarda «pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto». Per professionista si intende chi opera nell’ambito della sua attività commerciale, professionale ecc., mentre è consumatore chi agisce per fini personali, che si pongono al di fuori di tali ambiti.

Una pratica commerciale può dirsi scorretta se «falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico (…) del consumatore medio». Resta esclusa dalla disciplina, cioè è fatta salva, «la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera» (art. 20).

È poi considerata ingannevole ogni pratica che si avvale di «informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio», spingendolo ad assumere una decisione «che non avrebbe altrimenti preso» (art. 21).

È ingannevole anche l’omissione di «informazioni rilevanti» di cui il consumatore medio avrebbe bisogno «per prendere una decisione consapevole» (art. 22). Dunque, il consumatore è tutelato rispetto a chi tenti di raggirarlo - spacciando come vere informazioni ingannevoli o come sostenibili affermazioni che non sono tali oppure omettendo dati necessari a effettuare valutazioni compiute - al fine di distorcere le sue decisioni e indirizzarle verso i propri prodotti.

E la tutela dell’elettore?

Con un audace parallelismo, può dirsi che gli elementi che connotano la disciplina a tutela del consumatore – la presenza di professionisti, di soggetti che agiscono al di fuori di qualunque professionalità e di relazioni “economiche” fra le due categorie - ricorrono anche nei rapporti tra politico ed elettore.

Ogni politico è un “professionista” nel proprio ambito; il cittadino decide perseguendo fini personali e/o collettivi; la campagna elettorale - momento in cui il primo prova a indurre il secondo a scegliere, mediante il voto, il proprio “prodotto” - ha una valenza “economica”.

Infatti, al seggio, l’elettore compie valutazioni di tipo economico, perché gran parte dei provvedimenti che saranno adottati dai suoi rappresentanti avranno anche impatti di tale tipo. Ed è sempre l’elettore che consente l’azione politica di governo, attraverso il proprio contributo economico, le tasse.

Peraltro il politico, se eletto, ottiene benefici economici, finanziati sempre dai cittadini. L’elemento “economico”, dunque, connota l’agire di eletti ed elettori. Pertanto, orientare il voto con promesse false o insostenibili si traduce in un danno anche economico a carico dell’intera collettività, e non solo del singolo.

L’esercizio di applicare il Codice del consumo alla politica resta però meramente teorico. Nessuna sanzione prevista da tale Codice potrebbe essere destinata a esponenti di partiti che dicano il falso. L’unica “sanzione” può essere quella comminata in sede elettorale.

La tutela online

Gli elettori-utenti di internet ricevono una tutela particolare, tesa a garantire l’informazione da ingerenze improprie e distorsioni. A giugno la Commissione europea ha pubblicato il Codice rafforzato contro la disinformazione contenente misure per contrastare la disinformazione online. Il nuovo codice si conforma agli obiettivi indicati dalla Commissione nel maggio 2021, con un rafforzamento di impegni e misure già previsti in precedenza.

Come la Commissione europea già rilevava nel 2018, social media, servizi di condivisione di video, motori di ricerca ecc. possono essere impiegati per diffondere disinformazione su vasta scala, «creando così bolle di informazione personalizzate e generando potenti camere di risonanza per le campagne di disinformazione».

Queste ultime possono essere sfruttate per instillare sfiducia e produrre tensioni sociali; e, se poste in essere da paesi terzi, possono minacciare sicurezza interna e processi elettorali.

I soggetti firmatari del nuovo Codice si sono impegnati, tra l’altro, a garantire l’integrità dei servizi, demonetizzare e contrastare la disinformazione e la propaganda di soggetti esteri, rafforzare la tutela degli utenti e fornire loro maggiori “poteri”, alimentare la trasparenza consentendo ai ricercatori (e terze parti) di accedere ai dati delle piattaforme.

Con riferimento alla trasparenza, il Codice precisa che essa deve riguardare – tra l’altro - le politiche adottate dalle aziende, gli strumenti utilizzati per contrastare la disinformazione, i criteri relativi a contenuti e annunci pubblicitari, le decisioni adottate.

Ma, al di là dei codici di autodisciplina e di altre regole per arginare fenomeni di fake news anche nei confronti dei cittadini-elettori, servirebbe rendere questi ultimi più critici rispetto a ciò che viene “offerto” loro, nonché più autosufficienti nel pensiero.

Anche per questo è importante che le promesse politiche siano sottoposte a verifiche rigorose (fact-checking) da parte di esperti e giornalisti. Solo così, infatti, il sistema può essere provvisto di anticorpi che aiutino a riconoscere le falsità e chi le propala.

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