In Messico, negli ultimi sette anni, sono stati uccisi otto giornalisti che erano registrati presso il Meccanismo per la protezione dei difensori dei diritti umani e dei giornalisti: un dato che, secondo una ricerca di Amnesty International e del Comitato per la protezione dei giornalisti, indica che quel sistema federale di protezione non funziona affatto bene.

Il Meccanismo è stato creato nel 2012, dopo anni di pressioni da parte della società civile messicana, per proteggere i difensori dei diritti umani e i giornalisti sottoposti a gravi minacce e attacchi a causa del loro lavoro. Il Messico è lo stato più pericoloso dell’emisfero occidentale per i giornalisti: il Comitato per la protezione dei giornalisti lo documenta dal 1992.

Dall’inizio del XXI secolo, quelli uccisi sono stati almeno 141, oltre 60 dei quali per motivi direttamente legati al loro lavoro.

I killer la fanno franca, i mandanti pure. Secondo l’Indice globale dell’impunità prodotto ogni anno dal Comitato per la protezione dei giornalisti, il Messico è stabilmente tra i primi dieci posti per numero di casi irrisolti di giornalisti assassinati.

Sempre secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, il Messico è lo stato al mondo col più alto numero di giornalisti scomparsi: ciononostante, non c’è stata neanche una condanna nei confronti dei responsabili.

Oltre agli omicidi e alle sparizioni, i giornalisti messicani subiscono costanti aggressioni, intimidazioni, minacce fisiche e psicologiche da parte di funzionari statali e dei gruppi della criminalità organizzata.

La maggior parte delle minacce e degli attacchi scatta quando i giornalisti scrivono di imprese criminali, della cosiddetta “guerra alla droga” e della relativa militarizzazione del paese, nonché di corruzione. Lo stesso Meccanismo è arrivato alla conclusione che metà degli attacchi contro i giornalisti proviene da funzionari dello stato.

Sulla carta, il Meccanismo valuta i rischi cui i giornalisti vanno incontro, fornisce misure di protezione e si coordina con le autorità statali e le agenzie federali per mitigare tali rischi.

Alla fine dello scorso novembre, al Meccanismo erano registrati 651 giornalisti: 469 uomini e 182 donne. Il numero delle richieste di protezione è rapidamente aumentato negli ultimi anni: una nel 2020, 14 nel 2021, 49 nel 2022 e altre 49 nei primi 11 mesi del 2023.

Quasi tutti i 28 giornalisti registrati coi quali ha parlato Amnesty International hanno segnalato di aver continuato a subire minacce anche dopo la registrazione e hanno lamentato che l’operato del Meccanismo è lento, burocratico e privo di empatia.

Molte giornaliste hanno denunciato che il personale del Meccanismo minimizza la gravità delle minacce e non agisce secondo una prospettiva di genere.

Le storie

Amnesty International e il Comitato per la protezione dei giornalisti hanno individuato, tra le tante, tre storie che chiamano profondamente in causa il Meccanismo. Rubén Pat Cauich e Gustavo Sánchez Cabrera sono stati assassinati mentre erano sotto protezione, rispettivamente nel 2018 nello stato di Quintana Roo e nel 2021 nello stato di Oaxaca.

Alberto Amaro Jordán è ancora vivo, ma sta lottando per rientrare nel registro del Meccanismo, che ha deciso che la protezione non è più necessaria: «Li chiamo al telefono e a volte pare proprio che m’ignorino o pensino che non stia dicendo la verità. La loro valutazione del rischio è piena di errori. Alla fine hanno deciso di togliermi la scorta».

La vicenda di Alberto Amaro Jordán non è isolata. Il Meccanismo tende sempre di più a negare, indebolire o annullare le misure di protezione, nonostante gli evidenti rischi che i giornalisti continuano a correre. Manca una formazione adeguata sui diritti umani e sulle questioni di genere, le comunicazioni con i beneficiari sono scarne e burocratiche.

EPA

Amnesty International e il Comitato per la protezione dei giornalisti hanno sollecitato le autorità federali messicane ad assicurare che il Meccanismo sia dotato di maggiori risorse e che i suoi funzionari ricevano una migliore formazione.

Ma prima o poi, meglio prima che poi, dovranno essere affrontate e risolte le cause di fondo della violenza contro i giornalisti e dell’impunità di cui godono i responsabili.

In un anno elettorale, il Messico potrebbe sprofondare in un nuovo ciclo di violenza, e tra le principali vittime ci sarebbero sempre coloro che la raccontano.

© Riproduzione riservata