Matteo Renzi non ha gradito. O meglio, ha gradito non gradendo, che Chiara Ferragni abbia deciso di entrare nel dibattito sulla legge Zan. Lo ha fatto, comunicando agli oltre 24 milioni di follower che ha su Instagram, che «l’Italia è il paese più transfobico di Europa. E Italia viva (con Salvini) si permette di giocarci su. Che schifo che fate politici». Renzi pur convinto che «fa bene Chiara Ferragni a dire quello che pensa», non ha apprezzato né la citazione di Italia viva né il fatto che Ferragni, per far passare il messaggio, abbia usato una sua foto.

Così, tramite un post su Facebook, ha espresso il suo pensiero dicendosi disponibile «a un dibattito pubblico con la dottoressa Ferragni, dove vuole e come vuole».

Quel perfido “dottoressa” (Ferragni non è laureata), unito a un provocatorio «sono sempre pronto a confrontarmi con chi ha il coraggio di difendere le proprie idee in un contraddittorio. Se ha questo coraggio, naturalmente», ha provocato l’immediata risposta di Fedez (12,6 milioni di follower su Instagram). Che in difesa della moglie ha replicato: «Stai sereno Matteo, oggi c’è la partita. C’è tempo per spiegare quanto sei bravo a fare la pipì sulla testa degli italiani dicendogli che è pioggia». E qui verrebbe da dire che, come saggezza popolare insegna, chi è causa del suo mal pianga sé stesso. Perché l’influencer che ha introdotto quel “stai sereno” nel dibattito pubblico è proprio Renzi. Forse l’esponente più illustre della politica del consenso social.

Nelle urne e sui social

Certo, si dirà, nel frattempo l’ex sindaco di Firenze ha preso anche i voti reali, si è misurato con le urne, ne è uscito vincitore ma anche sonoramente sconfitto. Ha promesso di ritirarsi dalla politica ma è rimasto saldamento al suo posto in attesa delle prossime elezioni. Insomma, ha fatto i conti con la democrazia. Ora, dall’alto della sua esperienza, novello Piero Fassino, potrebbe apostrofare i Ferragnez: «Se vogliono fondare un partito lo facciano, vediamo quanti voti prendono».

Ma sarebbe un tradimento di sé stesso. Perché in fondo Renzi ha sempre giocato in due campionati. Non era forse il più influencer dei politici quando indossava il chiodo alla Fonzie e si presentava ospite da Maria De Filippi? E che dire di Firenze secondo me, la docuserie in cui l’ex premier se ne andava a spasso per la sua città promuovendone le bellezze culturali? Non era forse una versione, probabilmente meno riuscita, delle foto “promozionali” di Ferragni agli Uffizi?

Nella sua replica Renzi scrive «la politica è un’attività nobile e non fa schifo. E la politica si misura sulla capacità di cambiare le cose, non di prendere i like». Ha ragione, peccato che sia stato anche lui, assieme a Matteo Salvini, a Silvio Berlusconi (che in epoca pre social utilizzava la televisione con la stessa idea), a Beppe Grillo e a gran parte della classe dirigente che ha governato il paese in questi ultimi anni a sostituire i voti con i like cavalcando l’idea che la “vecchia politica” un po’ schifo effettivamente lo facesse. Sono nate da questo cambio di paradigma le “bestie” e le “bestioline” che, quasi quotidianamente, a un solo cenno del capo si scatenano per bullizzare sui social network chi ha l’ardire di criticare e contestare.

Amici miei

Insomma l’impressione è che il problema non sia tanto il contenuto del messaggio veicolato da Ferragni su Instagram quanto l’effetto negativo che questo produrrà in termini di immagine e di like. E siamo sufficientemente certi che in caso di faccia a faccia non mancheranno le foto di rito postate in tempo reale e, perché no, un invito alla prossima Leopolda.

Certo, probabilmente in tutto questo c’è anche del provincialismo italico. E se Berlusconi si presentava in tv con alle spalle, alternativamente, le foto con Vladimir Putin, George Bush, dei figli o dei successi del Milan. Renzi nel novembre del 2016, mentre l’America si preparava a eleggere Donald Trump, postava su Facebook un album di sue immagini con Barack Obama ricordando il «privilegio» di «aver avuto la possibilità di lavorarci insieme e di confrontarsi in tante occasioni». Quasi che l’essere affiancato a un potente produca potenza per sé.

Lo stesso Trump, altro presidente social addicted, non ha disdegnato di “usare” il rapper Kanye West (oltre 30 milioni di follower di Twitter) forse sperando di potersi abbeverare un po’ alla fonte del suo consenso social. Forse è vero, il potere di manipolare le folle dei Ferragnez e degli altri influencer è diventato smisurato, ingestibile e, proprio per questo, preoccupante. Ed è anche vero che questa deriva verso la disintermediazione politica è il frutto di trasformazioni profonde della società. Ma i politici, come spesso accade, invece di andare al fondo del problema, analizzarlo e governarlo, si sono fatti governare. E ora è un po’ strano lamentarsene.

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