Nella tarda mattinata di domenica 12 febbraio, quando dal Viminale cominciavano a giungere i dati della partecipazione al voto, che erano disastrosi per la defezione e l’abbandono delle urne con un andamento uniforme e generale, la presidente Giorgia Meloni ha sentito l’impulso, l’urgenza, la necessità di lanciare un messaggio allarmato agli elettori, dicendo loro che queste elezioni erano di grande importanza. Perché questo messaggio nel pieno della celebrazione del rito del voto?

Perché Meloni in questo voto regionale aveva bisogno di conquistare tre maggioranze: una, interna della coalizione di centrodestra, per stabilire definitivamente la irrilevanza degli altri due alleati e il dominio di Fdi e della sua guida; la seconda, nel sistema politico italiano, che desse un’indicazione alla preparazione della grande campagna elettorale per l’Europa dell’anno prossimo; la terza maggioranza era quella degli elettori, per dimostrare che il governo aveva acceso una nuova passione nel paese. Da qui l’appello a votare, perché vedeva in pericolo il terzo, ma principale obiettivo: quello di dimostrare all’Europa che la sua guida europeista di destra di matrice clerical-reazionaria, ha un consenso popolare.

È questo l’obiettivo mancato, al di là delle influenze e della malattie provvisorie, che l’ha indebolita in Europa. Ed è questo è il cuore della difficoltà della presidente. Il fallimento dimostra la precarietà del progetto di nuova guida del conservatorismo pseudo democratico, ma in sostanza autoritario, dell’Europa. E coincide con il momento in cui clima di guerra diventa sempre più surriscaldato.

Il governo italiano è schierato metà sul fronte dell’aiuto all'Ucraina e l'altra metà per la pacificazione immediata con Putin. Ma, con questa debolezza del sostegno popolare, come si può creare se non un gabinetto di guerra, almeno un governo di sicurezza nazionale e europea, che passi attraverso il successo di Kiev che sconfigge sul campo l’aggressione di Putin?

Il governo italiano oggi è il punto debole nella costruzione di una politica della sicurezza nazionale e europea. Perché oggi, quando ormai gli alti ambienti militari atlantici sono convinti che la guerra non finirà presto, né con il successo di una parte, il governo di sicurezza nazionale e europea richiederebbe una larga base di consenso alle istituzioni da parte della opinione pubblica del paese. E invece quando su 12 milioni di elettori solo due milioni e mezzo sostengono il governo ed il resto, che si esprima per l’opposizione o che non voti, è costituito dall’80 per cento del paese, vuol dire che l’80 per cento del paese è all’opposizione. 

Ma la politica non ammette vuoti. Oggi la delega alla sicurezza è affidata  ad oscuri gruppi di industriali militari, che trovano il loro punto di incontro nei salotti buoni delle cosiddette fondazioni culturali.

Anche una volta la politica estera era influenzata dai gruppi industriali; nella Prima Repubblica Fiat ed Eni cercavano di influire sulla politica estera. Ma il sistema politico era forte, dunque consentiva a queste imprese di agire al massimo sulla politica commerciale estera, non certo sulle scelte di fondo delle alleanze e della collocazione politica del paese. Oggi, negli oscuri salotti, le fondazioni a sostegno pseudo-culturale dell’industria militare cercano di sostituire la politica estera e di influenzarla. Oggi il governo-ombra della sicurezza è composto da un groviglio di collegamenti fra poteri istituzionali e poteri industriali. Occhio alla Leonardo.

https://www.editorialedomani.it/politica/europa/la-missione-di-meloni-a-monaco-per-uscire-dallisolamento-un2r962j

La conferenza di Monaco di questi giorni ci dice che in Europa governi nazionali e governo europeo devono essere sulla stessa lunghezza d’onda e devono agire come forza integrata. Nei prossimi mesi l’Italia sarà chiamata ad avere un governo di sicurezza nazionale ed europea a guida e a composizione molto diversa da quella attuale, che possa portare il paese reale, che non ha votato, alla ricostruzione e alla pacificazione tra le aeree geopolitiche globali.

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