«Togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la sua incolumità per garantire la nostra è un gioco che può diventare molto pericoloso».

Questo, dopo giorni di silenzio, è quello che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ritenuto di dover dire dopo le violenze della polizia a Pisa e Firenze.

A nulla è valso l’intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha parlato apertamente di fallimento. Apertamente e giustamente, perché di fallimento si è trattato.

Le dichiarazioni di Meloni, invece, di giusto non contengono nulla. Di più, sono di una gravità enorme. Non si rende conto che è lei a togliere il sostegno alle istituzioni, ad aumentare la distanza tra lo stato e i cittadini, ad accrescere la disillusione e la disaffezione nei confronti di chi dovrebbe garantire la nostra sicurezza?

Le manganellate non fanno questo, tutt’altro. Io non mi sento più sicura a sapere che se le forze di polizia sbagliano, scagliandosi con una furia cieca contro dei giovani che esprimono legittimamente il proprio dissenso, saranno comunque protette dai vertici.

Penso che una qualsiasi persona di buon senso, di fronte a quelle scene abbia provato una sensazione terribile. Di sicuro, non si cancelleranno presto.

Stato di polizia

Dopo le parole di Meloni il timore è che la violenza contro chi dissente continuerà a presentarsi. Il dissenso è uno dei beni più preziosi che abbiamo. I provvedimenti del governo mirano in tutti i modi a spegnerlo, criminalizzando quanti si schierano a difesa dei diritti, a difesa del bene comune. Il governo di tutto questo ha paura, una folle paura.

Altrimenti non si spiegherebbero le strette securitarie, che invece di promuovere la libera circolazione delle idee, il pluralismo, in una parola la democrazia, finiscono per restringere il perimetro del confronto, provocando un danno inenarrabile. Un danno che si riflette a tutti i livelli, dalla società alla politica.

Alla democrazia si sta progressivamente sostituendo uno stato di polizia. Uno stato che esclude, invece di includere. Uno stato per pochi, invece che per tutti. Uno stato di tutti, uno stato per tutti. Questa è una delle richieste essenziali alla base delle proteste brutalmente represse nei giorni scorsi. Le piazze parlano di diritti. Parlano di pace. Le idee del governo vanno nella direzione diametralmente opposta.

Non serviva vedere la destra all’opera, anni e anni di propaganda volta a fomentare l’odio ci hanno messo in guardia in tutti i modi sulla deriva alla quale saremmo andati incontro. Non ci eravamo sbagliati.

Basta dare anche solo una rapida occhiata ai primi “risultati” di queste parole per rendersi conto di che cosa sta accadendo. È notizia di pochi giorni fa, diffusa da Antigone, il boom di giovani finiti dietro le sbarre per colpa del decreto Caivano. Perché lo associo alle piazze per la Palestina?

Perché il messaggio che portano con sé i manganelli e le sbarre è lo stesso: punirne alcuni per diseducarli tutti. L’opinione pubblica, almeno parte dell’opinione pubblica, ne è ben consapevole. Dissenso e disagio vengono trattati allo stesso modo, questa è la cosa che dovrebbe farci più riflettere.

Da qui dipende il presente e il futuro del nostro paese: la destra immagina un’Italia in cui invece di alimentare la speranza, le istituzioni si occupano di demolire pezzo dopo pezzo quanto di buono siamo stati capaci di costruire nel tempo.

Le loro politiche sono un fallimento annunciato, quello di cui parla Mattarella. Il fatto che riescano nel loro intento, però, dipende anche e soprattutto da noi. E da quelle piazze che sono sicura non smetteranno di alzare la voce. Quelle sì, per la nostra incolumità.

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