Ieri sono morte altre 680 persone, martedì prima erano state 846, 66.537 da inizio pandemia, e fare lo sforzo di immaginare gli individui dietro i numeri è tanto faticoso quanto necessario. C’è un gruppo Facebook che se ne occupa dal 22 marzo 2020. Si chiama Noi Denunceremo e ha radunato quasi 70.000 iscritti, una cifra molto vicina a quella delle vittime.

Scorrerne la timeline fa il male necessario perché traduce i numeri in volti e i volti in storie: «se n’è andata a maggio dopo due mesi di ospedale», «se n’è andato il giorno di Pasqua», «è  volato via da tre giorni», «aveva cinquant’anni e nessuna patologia pregressa», «ho perso entrambi i genitori», «aveva trentadue anni», «non è giusto morire da soli», «ciao papà questi mesi sono stati lunghissimi», «buonasera ho perso mio fratello», «ancora aspetto come se dovesse tornare».

Noi denunceremo non è però solo questo, è anche un comitato di privati cittadini impegnato nella ricerca dei come e dei perché di questa crisi sanitaria senza precedenti.

La sua storia inizia con il lutto di Luca e Stefano Fusco che, a marzo 2020, perdono il padre e nonno Antonio a causa del contagio. Al telefono, Luca mi racconta come Noi Denunceremo sia nato in prima istanza per riempire il vuoto dato dalla mancanza del rito: «Non potendo neanche fare un funerale, volevamo almeno condividere il dolore con chi aveva subito la stessa perdita». Dopo solo due mesi il gruppo raggiunge i 45.000 iscritti.

A quel punto i numeri dell’emergenza sono enormi e l’elaborazione del lutto inizia a evolversi in ricerca di risposte: “ci siamo costituiti in un comitato per supportare la magistratura di Bergamo, che nel frattempo aveva aperto un fascicolo per epidemia colposa” prosegue Luca. Le storie raccolte dal comitato vengono così depositate in procura.

La ricerca delle responsabilità

«Il punto di partenza del nostro ragionamento è sempre la mancata chiusura della zona rossa di Nembro e Alzano, una responsabilità prettamente regionale». Il comitato ritiene che gli strumenti per chiudere quella piccola area della Lombardia esistessero, e che se fosse stato fatto il contagio non si sarebbe diffuso a questi livelli fuori dai confini regionali.

«Oggi rappresentiamo quasi 70000 cittadini che vogliono sapere. Noi Denunceremo nasce sull’onda di una crisi sanitaria epocale che si poteva prevedere, arginare e gestire». Quanto alle differenze di gestione tra le prime due, Fusco afferma che non si è fatto tesoro di quanto accaduto, trascorrendo un’estate all’insegna degli interessi regionali e dell’economia.

Nel frattempo il comitato viene contattato anche da altre aree del paese per fornire consulenze rispetto a come comportarsi di fronte all’aumento dei casi di contagio. In buona sostanza, conclude Luca Fusco “stiamo facendo privatamente quello che dovrebbe fare lo Stato”. Perché il contagio, lo sappiamo, è arrivato ovunque e stavolta neanche il sud è stato risparmiato. Eppure non solo le poche realtà che ancora vogliono parlare delle vittime non vengono incoraggiate, dei morti si evita proprio di parlare. 

Workers from "Hevra Kadisha," Israel's official Jewish burial society, prepare a body before a funeral procession at a special morgue for COVID-19 victims in the central Israeli city of Holon, near Tel Aviv, Wednesday, Sept. 23, 2020. With Israel facing one of the world's worst outbreaks, burial workers have been forced to wear protective gear and take other safety measures as they cope with a growing number of coronavirus-related deaths. (AP Photo/Oded Balilty)

Il silenzio di Conte

Nella conferenza del 3 dicembre il premier Conte ha menzionato la necessità di trascorrere un “Natale diverso” per scongiurare un nuovo lockdown, senza fare parola del picco record di 993 morti raggiunto proprio quel giorno in Italia. Se è vero che è difficile immaginare le parole giuste per commentare un dato simile, è anche innegabile che il silenzio delle più alte cariche istituzionali non può essere una risposta.

Nel paese il lutto è così esteso e traumatico da causare fenomeni di negazione e auto-isolamento i cui veri effetti si misureranno nel tempo, ben oltre la fine dell’emergenza. Anche per questo presidi come quello di Noi Denunceremo sono realtà preziose, che dimostrano come il trauma della perdita, se accompagnato da spirito comunitario, anziché bloccarci può arrivare a smuovere processi importanti e avvicinare realtà lontane.

È così che il percorso del comitato, nel corso della prima ondata, si è intrecciato a quello di Robert Lingard. Di origini bresciane, Lingard vive in Inghilterra e ha a sua volta subito delle perdite a causa del virus. Si occupa di comunicazione e, così come i Fusco, non era convinto dalla retorica del nemico invisibile. «Ho iniziato a supportarli con la comunicazione e abbiamo portato avanti l’iniziativa di denuncia e ricerca» spiega Lingard, «il comitato non è nato per vedere le persone in galera né per ottenere risarcimenti economici, bensì per fare degli esposti e far emergere tutte le lacune del sistema, affinché non si ripetano in futuro».

È stato proprio Lingard a portare all’attenzione del Guardian il dossier dell’ex generale in pensione Pier Paolo Lunelli, il documento che sembra evidenziare il mancato aggiornamento del piano pandemico italiano. Un vaso di Pandora su cui attualmente sta indagando la procura di Bergamo, che coinvolge alte cariche dell’Oms e che è stato scoperchiato anche grazie all’attività del comitato.

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Nessuna sponda in Lombardia

A fronte di un lavoro così capillare risulta rilevante la pressoché totale assenza di riscontri da parte delle istituzioni. Luca Fusco evidenzia come “amministratori comunali, provinciali, regionali e centrali si sono ben guardati dall’alzare il telefono e volerci conoscere, eccezion fatta per Giorgio Gori, che si è speso affinché un nostro rappresentante partecipasse alla commemorazione del 28 giugno al cimitero monumentale di Bergamo”. Nel corso di questi mesi Fusco ha chiesto un confronto diretto e aperto alla regione Lombardia, nelle persone di Giulio Gallera e Attilio Fontana, senza mai ricevere una risposta.

Ora il comitato prende atto del fatto che le lezioni della prima ondata sono servite a poco e prosegue il suo percorso. «Non potevamo avere come obiettivo solo quello di essere la Spoon River della pandemia, desideriamo diventare un presidio civico permanente. Finita l’emergenza continueremo a interrogare le istituzioni, a parlare di sanità, di trasporti, di scuola e di lavoro, a presidiare i diritti inalienabili che in questi mesi hanno vacillato quando non sono del tutto andati a catafascio». Nel racconto di quei giorni, non è infatti possibile dimenticare la sfilata delle bare a Bergamo.

Luca Fusco racconta di aver parlato con il maggiore che ha coordinato gli addetti al ritiro delle salme. I camion attraversavano la bergamasca passando di ospedale in ospedale, fino a che una buona metà degli effettivi ha chiesto di essere esentata dal compito e avere un supporto psicologico.

Cemetery workers in protective clothing inter three victims of the new coronavirus at the Vila Formosa cemetery in Sao Paulo, Brazil, Wednesday, July 15, 2020. President Jair Bolsonaro condemned any coronavirus quarantine, saying shutdowns would wreck the economy and punish the poor. He scoffed at the “little flu,” then trumpeted the fatalistic claim that nothing could stop 70% of Brazilians from falling ill. And he refused to take responsibility, when many did. (AP Photo/Andre Penner)

Senza riferimenti visivi

È giusto che i media non vogliano spaventare più del dovuto, ma è altrettanto giusto sapere che i morti sono stati talmente tanti da superare il numero di bare a disposizione, talmente tanti da superare la capienza delle celle frigorifere, e che degli uomini hanno raccolto e trasportato quei corpi fino a non poterlo più sopportare.

Ad oggi il numero dei deceduti è raddoppiato, ma non abbiamo quelle immagini che rendono la malattia tangibile. Proprio nelle ore in cui si parla di istituire una zona rossa nazionale dal 24 dicembre al 3 gennaio, mi chiedo se sia per questa mancanza di riferimenti visivi che ci siamo lasciati travolgere, per settimane, dal dibattito sulla possibilità o meno di organizzare un cenone.

Per riportarci a un principio di realtà servirebbe che le parole di chi ci guida non assecondassero negazioni e allucinazioni collettive. I numeri li abbiamo sempre avuti, ma ci sono mancate le storie.

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