Non poteva mancare la «famiglia» tra gli impegni del governo guidato da Giorgia Meloni, in questa prima vera legge di Bilancio siglata dalla maggioranza. Non poteva mancare, perché era la prima tra le promesse elettorali di Fratelli d’Italia. «La famiglia è l’elemento fondante della società e ciò che rende una Nazione veramente sovrana e spiritualmente forte», si legge nelle prime righe del programma.

Famiglia significa figli. Sostegno alla famiglia significa incentivi alla «natalità». E così è declinato, infatti, il capitolo famiglia nella Manovra, in cui la scelta politica appare chiara: indirizzare le risorse (poche) ai nuclei con due o più figli, sia aumentando il Fondo per il bonus asili nido, sia finanziando la decontribuzione per le madri. Perché, ha detto Giorgia Meloni in conferenza stampa, «una donna che mette al mondo almeno due figli ha già dato un importante contributo alla nazione».

L’impianto retorico esprime senza esitazioni la matrice nazional-conservatrice della destra di governo: la maternità è al cuore del legame sociale garantito dalla famiglia – anzi della famiglia “naturale” –, la famiglia è l’unità fondamentale della nazione – intesa come grande famiglia –, e il ruolo della donna, sebbene non si esaurisca del tutto in quello di corpo riproduttivo, trova il suo pieno compimento privato e pubblico nel mettere al mondo nuovi discendenti.

Sotto la retorica, però, è difficile riconoscere qualcosa che assomigli a una visione di lungo periodo, all’altezza del proposito programmatico di fare dell’incentivo alla natalità un «investimento sul futuro».

Non si tratta solo di rilevare la scarsità complessiva di risorse, che difficilmente potranno garantire ciò che promettono, per esempio la gratuità degli asili nido per tutti i nuclei con due figli. Si tratta di cogliere il carattere non strutturale dell’investimento.

È stato notato da più parti che aumentare l’investimento nei bonus serve a poco dove gli asili non ci sono. E questa è purtroppo la situazione in cui versa gran parte del Sud Italia, dove la copertura dei nidi è gravemente al di sotto della media europea, e dove anche per questo il tasso di natalità è il più basso del paese.

Con il risultato che la misura, più che incentivare la natalità tra chi più fatica a fare progetti di genitorialità, finisce per offrire un sostegno – senz’altro importante, s’intende – a chi già oggi è in condizioni migliori per farne. Anche la decontribuzione va a favorire le donne che già hanno un lavoro (e almeno due figli), che vivono dove i tassi di occupazione sono più elevati e i servizi migliori.

Il punto è che il problema della bassa natalità non può essere affrontato e risolto né con la retorica pro-natalista, che umilia le donne riducendole a fattrici; né con politiche dal fiato corto, buone per marcare una casella nella lista di impegni presi con gli elettori e per presentarsi, forti di un presunto risultato, al prossimo appuntamento elettorale.

Perché in un tempo segnato dal profondo mutamento dei costumi riproduttivi, nessuna equazione valoriale tra essere donna e essere madre può sperare di indurre a fare figli le donne vere, quelle che cercano giorno per giorno di immaginare la propria vita in una società segnata da profonde diseguaglianze di genere.

E perché quello della natalità è un nodo che riguarda il rapporto tra presente e futuro, di fronte a cui solo una visione che vada in profondità e guardi lontano, per riformare in senso egualitario le strutture economiche e sociali, può rappresentare una risposta.

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