Venerdì sera, nella partita contro il Belgio, la nazionale italiana di calcio si inginocchierà, con il gesto divenuto ormai simbolo globale di impegno contro il razzismo. La Figc ha però specificato in una nota che non lo farà in adesione a Black Lives Matter, che afferma di non condividere, bensì come manifestazione di solidarietà verso gli avversari.

L’atteggiamento debole e incoerente di una squadra che resta in piedi, si inginocchia o fa metà e metà, in base a come si comportano i giocatori che ha di fronte, è stato oggetto di critiche trasversali. Quello che rischia di restare incontestato è il contenuto politico di una dichiarazione che, nelle intenzioni, doveva invece scongiurare la politicizzazione del gesto.

La Federcalcio parla di «una campagna che non condividiamo», ma cos’è esattamente che non vuole sposare? Il metodo, cioè l’espressione pubblica di adesione che tanti sportivi hanno manifestato inginocchiandosi – dal football americano con Colin Kaepernick, per arrivare a campioni del Nba come LeBron James, e a calciatrici e calciatori, dagli Stati Uniti all’Europa? O il merito, cioè la denuncia della violenza poliziesca contro le minoranze razziali?

È di questi giorni la pubblicazione di un rapporto dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, che analizza casi di decessi di persone di origine africana o afrodiscendenti avvenuti in tutto il mondo durante o a seguito del contatto con le forze dell’ordine, riconosce il «razzismo sistemico» che è alla base di questa violenza e l’importanza di sostenere l’attivismo per il cambiamento. Se al calcio italiano la presa di posizione contro gli abusi della polizia appare una scelta troppo radicale, si consiglia vivamente questa lettura.

L’altro aspetto problematico, nella nota della Figc, è che parla della decisione come di un atto di solidarietà verso la squadra avversaria. Metterla così significa non aver compreso il valore simbolico del gesto di mettersi in ginocchio, che intende segnalare l’adesione a valori universali di eguaglianza e libertà contro il razzismo. Inginocchiarsi è una manifestazione di rispetto, e insieme un atto silenzioso di dolore, un segno di lutto, non rivolto agli avversari ma alle vittime di una violenza ingiusta.

Inoltre, dalla dichiarazione si evince che il razzismo è da trattare come un problema degli altri, di squadre come il Belgio, con giocatori neri come Romelu Lukaku. Non, invece, come un fenomeno strutturale in tutte le società, e che interessa il mondo del calcio come parte di un ordine più ampio. A quanto pare, gli azzurri ritengono che il tema non li riguardi.

Purtroppo però non è affatto così. E non occorre nemmeno chiamare in causa il razzismo istituzionale che, nel nostro paese, conduce uomini e donne migranti a morire sotto il sole, lavorando con turni massacranti e una paga da fame. O le violenze che le forze dell’ordine commettono anche qui contro chi ha la pelle nera. Basta ricordare i tempi non lontani in cui in campo con la nazionale scendeva Mario Balotelli, accolto dai cori «non esistono negri italiani». 

© Riproduzione riservata