Per uscire dal gioco dello scaricabarile politico sul caso di Artem Uss, il russo evaso dai domiciliari, l’unico modo è ancorarsi alla realtà dei fatti e magari anche al diritto.

Per farlo serve chiarire alcune nozioni. La prima: le misure cautelari per un soggetto di cui è stata chiesta l’estradizione funzionano in modo peculiare rispetto agli indagati in Italia. Il giudice che decide è il collegio della Corte d’appello (e non il Gip), mentre è la procura generale (e non il pm che indaga) a sostenere la richiesta di misura cautelare. Nel caso di Uss la detenzione in carcere.

La seconda: l’unico requisito da valutare per i giudici è il pericolo di fuga della persona da estradare. Non è rilevante, invece, la natura dei reati per i quali l’estradato verrà giudicato all’estero. Per dimostrare il pericolo, gli unici elementi in mano alla procura generale - che non ha condotto alcuna indagine - sono quelli forniti dallo stato che ha chiesto l’estradizione. Nel caso di Uss, gli inquirenti americani che lo accusano di associazione per delinquere, truffa e riciclaggio.

La terza: l’estradizione è un istituto ibrido. Poggia su motivazioni giuridiche ma, per essere eseguito, serve il vaglio politico del governo, che può dire no all’estradizione anche se i giudici hanno dato il via libera. Per questo, l’articolo 714 del codice di procedura penale prevede che il ministero della Giustizia possa chiedere di disporre una misura cautelare per la persona di cui è stata chiesta l’estradizione.

Infine: per l’ordinamento italiano, la misura cautelare in carcere è la soluzione da adottare solo se tutte le altre non sono idonee. Gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico sono la misura immediatamente meno afflittiva rispetto al carcere.

Date queste premesse è più facile capire la tranquillità dei magistrati milanesi davanti all’ispezione del ministero della Giustizia. Gli argomenti utilizzati dal pg per sostenere il pericolo di fuga e la necessità del carcere per Uss sono stati forniti dagli Usa. Secondo loro il russo, fermato in aeroporto a Malpensa, aveva commesso il reato negli Stati Uniti e poi se ne era allontanato, non aveva fissa dimora né interessi in Italia, dove era solo in transito.

I difensori di Uss, Vinicio Nardo e Fabio De Matteis, hanno dimostrato invece che la realtà era diversa. Uss, infatti, aveva un conto corrente italiano e un’utenza telefonica, era in procinto di investire in hotel in Sardegna, aveva acquistato una casa in Italia, i suoi figli e la sua moglie risiedono qui e lui aveva avviato le pratiche per fissarvi la residenza elettiva. Inoltre, Uss non è mai transitato fisicamente dagli Usa ma i reati di cui è accusato sarebbero stati commessi con transazioni estero su estero attraverso banche statunitensi. La corte d’appello di Milano ha accolto la ricostruzione della difesa, fondata su elementi di fatto, che non ha riguardato il merito delle accuse ma ha solo smentito le ragioni che sostenevano la necessità di trattenere Uss in carcere. Tuttavia i giudici hanno comunque scelto di disporre una misura cautelare che ne impediva gli spostamenti - i domiciliari con braccialetto elettronico - e che Uss ha scontato per quattro mesi in un appartamento prima di fuggire dopo il sì all’estradizione.

Certamente il caso fa emergere altre domande: perchè un russo indagato per reati di particolare gravità internazionale e figlio di un governatore amico di Vladimir Putin non sia stato sotto il controllo dell’intelligence; perchè il ministero della Giustizia, dopo gli avvertimenti del dipartimento di Stato americano, non abbia attivato il ricorso previsto dall’articolo 714 e quale sia stato il cortocircuito tra Italia e Usa. Nessuno di questi quesiti, però, riguarda l’applicazione della procedura penale.

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