Negli ultimi tempi ha preso piede una nuova tendenza: cambiare titolo ai ministeri. Lo abbiamo già visto con la nascita del ministero della transizione ecologica (transizione che di ecologico ha avuto ben poco). Questa volta è il turno dell’agricoltura. Francesco Lollobrigida sarà ministro alla sovranità alimentare.

Una narrativa che ricalca un concetto elaborato dai movimenti contadini negli anni Novanta, svuotandolo però di senso per declinarlo in chiave conservatrice e antiecologica.

Utopia rovesciata

Quello proposto dalla “Via Campesina” venticinque anni fa, è centrato su economie alimentari locali, sostenibili e in armonia con gli ecosistemi. L'idea era di rimettere il potere nelle mani delle persone che producono, distribuiscono e consumano cibo piuttosto che in quelle di grandi imprese e istituzioni del mercato.

Ora lo scenario è cambiato. Si scrive sovranità, si legge sovranismo.

«La sovranità alimentare è centrale», ha dichiarato sabato Giorgia Meloni, nella sua prima uscita pubblica all’indomani delle elezioni. «Ci hanno raccontato che il libero commercio senza regole ci avrebbe reso tutti più ricchi, ma non è andata così, la ricchezza è concentrata verso l'alto e ci siamo indeboliti, dipendiamo da tutti per tutto».

Ha anche precisato che «sull'agroalimentare ci sono tre grandi questioni, la prima è la sostenibilità ambientale, sociale ed economica: vogliamo difendere l'ambiente con l'uomo dentro». Dichiarazioni persino condivisibili, se ci si ferma all’apparenza.

Senza vincoli 

La realtà è invece quella del produttivismo senza se e senza ma: bisogna spingere sulla produzione di cibo, costi quel che costi. Lo abbiamo visto all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, quando il concetto di sovranità alimentare è stato usato per mettere uno stop alle condizionalità ambientali nella produzione di grano e mais. Salvo poi scoprire, lo abbiamo scritto su questo giornale, che i documenti ufficiali della Commissione europea sostengono esattamente il contrario, ovvero che «l’Europa è sostanzialmente autosufficiente dal punto di vista dei cereali».

L’idea di sovranità alimentare del nuovo governo porta quindi con sé l’idea che la transizione ecologica non debba intralciare il sistema produttivo, ma collocarsi all’ultimo posto fra le priorità.

Il contadino patriota

Il modello sembra essere quello nel quale il contadino-patriota viene dispensato dai vincoli ambientali per consentirgli di sfamare la nazione.

Se questo è l’obiettivo, dobbiamo aspettarci un contrasto alle strategie europee di riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici, l’introduzione dei nuovi OGM senza etichettatura, l’allevamento intensivo di animali in spregio alle emissioni di gas serra.

Insomma, sarà una “sovranità alimentare” sempre più insostenibile, che però avrà il marchio tricolore.

Avremo prodotti realizzati (forse) in Italia, certo, ma in un sistema dove le grandi multinazionali continueranno a detenere l’oligopolio del mercato della chimica, delle sementi, della meccanica e del commercio globale.

Il sovranismo alimentare che ci aspetta sarà quindi un misto di retorica nostalgica e glifosato, un ritiro definitivo della politica dalla transizione ecologica dei sistemi alimentari per sostenere un’agricoltura intensiva sempre più fuori dal tempo.

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