A volte un po' di storia è utile: la maggiore crisi economica prima di quella presente è stata certo la Grande Depressione del 1929, con un calo del Pil americano che molti stimano vicino al 30 per cento.

Per combattere quella crisi, il presidente Franklin Delano Roosevelt non ha solo ripreso con successo, e in parte anticipato, il pensiero di John Maynard Keynes sull’intervento pubblico in economia, ma ha anche usato o per la prima volta in modo strategico l’analisi costi-benefici, per un insieme di grandi progetti idraulici, di trasporto e di elettrificazione, in particolare nell’area del fiume Tennessee (1.000 km), molto depressa.

Nei piani seri il problema della valutazione dovrebbe essere centrale, come ha scritto Giorgio La Malfa in un recente articolo su Repubblica (lui ci aveva provato quando era ministro, ma senza successo).

Purtroppo l’ignoranza nella politica italiana ha raggiunto livelli tali che nessuno offre, né chiede, una seria o almeno minimale valutazione dei progetti.

Anche il “piano Renzi” di critica al Recovery plan del governo non si sogna di postulare valutazioni di sorta: dichiara che il suo è meglio di quello del governo perché spende di più, e stop.

Se per principio non si valuta, saremo tutti vittime dell’ "arbitrio del principe” (peggio, “dei principi”), cioè di furiose lotte partitiche per spartirsi i soldi europei al fine di comperare consenso dai diversi gruppi di interesse di riferimento, e addio quel principio di “accountability”, di difficile traduzione (l’idea di “rendere conto”), che dovrebbe essere alla base dell’azione politica.

Se si fanno un po' di numeri, poi di qualcosa si dovrà rendere conto, mentre con le chiacchiere e le affermazioni di principio sull’importanza relativa di questo o quel settore questo problema non si pone.

Anche Barack Obama aveva rilanciato l’analisi costi-benefici in molti settori (si veda il bel libro del suo consigliere Cass Sunstein).

Qui non è possibile fare una rassegna delle moltissime cose che si potrebbero valutare, né della varietà di metodi che si potrebbero usare, che davvero sono adattabili a una vasta gamma di problemi e di settori. La gamma delle valutazioni possibili è tale che esistono metodi semplificati per casi di grandi numeri di progetti e di tempi ristretti.

Nessuno di questi è perfetto, ma certo sono infinitamente meglio delle vaghezze che si continuano a sentire tanto dal governo che dall’opposizione.

Cosa dice la bozza del governo

La bozza attuale del piano del governo (Pnrr) presenta valutazioni macroeconomiche di impatto sia degli investimenti che delle riforme proposte nel documento, basate (per gli investimenti) su un modello europeo recente (Quest III). Ma è anche scritto a chiare lettere che si assume che siano stati selezionati quelli con maggiore efficienza, in termini di impatto sul Pil, senza però accennare alla necessità di un minimo di verifica puntuale di tale generosa assunzione. 

Questa ipotesi pare troppo ottimistica. Prendiamo gli investimenti nel settore delle infrastrutture di trasporto: di queste non sono definiti (nemmeno per i progetti maggiori) né costi, né domanda servita, né impatti finanziari (costi-ricavi, semplicissimi da calcolare).

Appare probabile che molte delle opere elencate, soprattutto nel mezzogiorno, saranno drammaticamente sottoutilizzate, se non altro per banali considerazioni demografiche. Quanto siano utili alla crescita del Pil strade e ferrovie deserte sembra davvero una domanda pleonastica.

Certo, non si può valutare tutto in tempi brevi, ma non è accettabile che si scenda sotto alcune soglie minime di analisi.

I costi, i ricavi, e le stime della domanda servita sembrano rientrare in questi minimi, altrimenti le ipotesi ottimistiche assunte dai modelli macroeconomici usati per il Pnrr appaiono davvero indifendibili come è poco difendibile non aver assunto scenari internazionali alternativi di crescita, per un paese esportatore come il nostro.

Ma anche assumendo che l’efficienza dei progetti sia elevata, sarebbe comunque necessaria l’esplicitazione di alternative settoriali di impatto.

Il mix settoriale di investimenti presentato è il migliore possibile, anche all’interno di queste ipotesi ottimistiche? Bene, lo si dimostri applicando il modello a mix alternativi.

E’ ovvio che in una situazione economica di crisi spendere tanti soldi pubblici mostra risultati positivi, ma per come proposta dal documento, la valutazione appare una legittimazione ex-post di quanto elaborato politicamente, immettendovi ipotesi super-ottimistiche sui contenuti specifici.

Occorre invece fare passi analitici successivi, e aprirli alla discussione rendendone comprensibili le assunzioni e le incertezze possibili.

C’è una legge ferrea nei modelli, economici e non: «Trash in, trash out». Se ci metti dentro spazzatura usciranno risultati che varranno spazzatura.

Se gli altri progetti del piano hanno la qualità di quelli per le infrastrutture di trasporto, questo esito sembra garantito.

© Riproduzione riservata