La crisi economica conseguente alla pandemia di Covid-19 ha prodotto un improvviso ritorno dell’interesse degli ordini professionali e delle imprese del settore edilizio per la detrazione fiscale concessa dallo stato al cittadino che risiede nelle zone sismiche 1, 2 e 3, che provveda all’adeguamento antisismico della propria abitazione (il cosiddetto “sisma bonus”). Introdotto con il decreto n. 58 del 2017, il provvedimento è stato modificato con il decreto Rilancio, facendo passare lo sgravio fiscale dall’85 per cento al 110 per cento, con possibilità di cessione del credito.

Fin dalla sua prima formulazione, studiosi ed esperti, pur apprezzando la decisione dello stato di destinare delle risorse alla difesa dai terremoti, in un appello pubblicato sul sito eventiestremiedisastri.it, hanno mosso diverse critiche per la “casualità” implicita in un’operazione lasciata alla volontà dei singoli, per la discrezionalità accordata a professionisti e proprietari, per l’alta probabilità che, includendo anche la zona 3, non vengano sufficientemente tutelate le popolazioni che devono quotidianamente convivere con i terremoti (zone 1 e 2).

Nessuna strategia

È soprattutto la mancanza di una strategia generale di prevenzione, che faccia da cornice di riferimento al sisma bonus, a generare le maggiori perplessità, perché gli ordini professionali e gli operatori del settore non perdono occasione per presentare il superbonus come la “prevenzione del nuovo secolo”, che porrà fine ai lutti e ai danni dei nuovi terremoti. Con ciò persuadendo il paese che il problema della prevenzione sismica sia avviato a soluzione.

Ma per la sua natura molteplice la prevenzione sismica non può limitarsi alla riduzione della vulnerabilità di singoli edifici. I terremoti distruttivi, come dimostrano le immagini dei disastri sismici, fanno crollare non solo le abitazioni ma anche edifici strategici, fabbriche, ospedali, scuole, chiese e monumenti. Danneggiano acquedotti, fognature, linee elettriche, interrompono vie di comunicazione stradali e ferroviarie, rovinano porti e aeroporti, distruggono ponti, rilevati, argini e sbarramenti. Decuplicano frane, crolli di roccia, cedimenti del suolo, dissestano coste e aree fluviali, predispongono il territorio ad aggravare i danni di altre successive calamità quali esondazioni e allagamenti. Producono estesi effetti di instabilità dei terreni di fondazione che trascinano con sé anche le costruzioni sismicamente più resistenti, così annullando gli effetti di eventuali ristrutturazioni.

Estremizzano, inoltre, le tante criticità del territorio già esistenti, prodotte dall’inurbamento, dall’abusivismo, dall’abbandono del sistema collinare e montano, incrementando lo spopolamento dei borghi, il sovraffollamento e il degrado delle periferie urbane, l’abbandono di attività produttive tradizionali, la trasformazione di abitati storici in seconde case, con il conseguente cambio di abitanti.

È perciò evidente che una seria strategia di prevenzione non solo richiede di affrontare in una visione unitaria una grande molteplicità di questioni ma va fatta rientrare tra le sfide più urgenti, per il numero delle vittime, per gli altissimi costi sociali ed economici della ricostruzione e in quanto precondizione per la modernizzazione del paese.

La possibilità di una svolta

Si offre oggi l’occasione di una svolta. Benché la prevenzione sismica non compaia in modo esplicito tra le “sfide” e le “missioni” per la modernizzazione dell’Italia, elencate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – approvato dalle Camere e in corso di esame da parte degli organi dell’Unione europea  – vi sono vari accenni al problema della riduzione del rischio sismico su cui il governo italiano potrebbe far leva per elaborare un piano di prevenzione sismica, e porre così un freno a quella che si preannuncia come una vera mutazione genetica, che consegnerebbe alla Next generation Eu un’Italia diversa e depauperata delle sue principali ricchezze.

Se infatti nel nostro paese si verifica un terremoto distruttivo ogni 4-5 anni e ogni terremoto danneggia mediamente 70 comuni (nell’ultima sequenza sismica sono stati addirittura 131), è lecito attendersi che in 25 anni più di 350 comuni, con il loro carico di vite umane, arte, storia, attività produttive, potranno trasformare totalmente la loro configurazione.

Osservando le parti più affascinanti del nostro paese, i centri storici di grandi città italiane o gli antichi paesi delle colline appenniniche – il cui fascino si lega a quell’essere, come è stato detto da Salvatore Settis, «un tutto unico per cui tra il villaggio abitato e il museo, tra la chiesa e il paesaggio non c’è soluzione di continuità» – si nota che questi sono per lo più situati in siti sismicamente sfavorevoli e che i loro giorni sono contati per l’alta vulnerabilità delle costruzioni e la fragilità dei sistemi infrastrutturali.

Sisma dopo sisma, molti centri minori vanno aggiungendosi alla lunga lista dei paesi in via di abbandono e sparizione, o stanno diventando realtà artificiali senza storia, perché, anche quando ricostruiti nello spirito del dove era e come era, risultano depauperati dei tanti tratti caratteristici “minori”, frutto di lavorazioni artigianali di secoli, quali tetti, tegole, mattoni, infissi, portoni, edicole, cappelle, ecc.

Modernizzazione e prevenzione

Modernizzazione e prevenzione non possono che camminare insieme. Una nazione evoluta conosce i propri rischi e se ne difende precorrendo gli eventi, adottando adeguate misure legislative, diffondendo istruzione e cultura. La prevenzione esige azioni specialistiche, ma è innanzitutto una modalità di sguardo della vita personale e collettiva, richiede conoscenza, attenzione, vigilanza, e deve impregnare tutte le pratiche in cui si articola la vita sociale.

Forse proprio questo è il punto su cui riflettere. La prevenzione sismica è l'approdo di un percorso collettivo di civiltà e cultura, che va ripensato inserendolo in un progetto di modernizzazione del paese. Nella civiltà tecnologica il “principio responsabilità” riguarda tutti: lo stato, il mondo della ricerca, le amministrazioni locali, i cittadini.

Ma il compito di ridurre l’impatto dei terremoti con una strategia di portata nazionale è prioritariamente dello stato, che dovrebbe, con il contributo dei massimi specialisti in materia sismica, predisporre in tempi brevi a scala nazionale un programma lungimirante e concreto di interventi efficaci, durevoli e tecnologicamente avanzati, tenendo insieme le problematiche territoriali, infrastrutturali e abitative.

Un piano che offra, con coraggio, una chiara ed inequivocabile indicazione delle priorità e delle urgenze, valutate rigorosamente su basi scientifiche. Un piano a cui tutti dovremmo attenerci, con disciplina e con la giusta ambizione di chi ha alle spalle una lunga storia di cultura sismica e intende aprirsi al futuro con senso di responsabilità verso le generazioni che verranno.



Teresa Crespellani è stata docente di Ingegneria geotecnica sismica all’Università di Firenze

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