Evidentemente molti non hanno ancora realizzato che l’arrivo di Enrico Letta alla guida del Pd, con il suo stile felpato, senza proclami roboanti e senza alcuna sconfessione della precedente gestione, ha innescato un cambio di marcia nel partito.

Passo dopo passo il neosegretario rende chiaro che lealtà non significa subordinazione. Quando ha rivendicato che il governo Draghi è il governo del Pd – e senza il suo apporto non reggerebbe un secondo – ne conseguiva che il Partito democratico “deve” imprimergli il suo sigillo, deve orientarlo lungo la sue priorità.

Se così non fosse il governo sarebbe indirizzato da altri. E cioè dalla Lega di Matteo Salvini. Per impedire che questo accada, il Pd sta recuperando le proprie bandiere, tenute per troppo tempo riposte nel sottoscala per  sudditanza rispetto all’ideologia neoliberista. 

Letta sta riposizionando il partito nell’alveo del riformismo, quello vero, che guarda alla giustizia sociale, all’eguaglianza, ai bisogni degli strati sottoprivilegiati della società.

Il Pd, come gli altri partiti socialdemocratici europei, ha resistito elettoralmente nei primi anni di questo secolo intercettando il voto di componenti sociali diverse, attratte dalle scelte laico-libertarie di questi partiti su tutta una gamma di temi etico-morali, dal matrimonio omosessuale all’eutanasia, dalla fecondazione assistita alla ricerca sulle staminali.

Queste tematiche, con tutte le variazioni del caso nei vari contesti nazionali, hanno catalizzato il consenso di ceti istruiti e urbanizzati, un tempo lontani o inclinati a destra. Ma non c’è stata consapevolezza di questo passaggio: l’adesione spesso sopra le righe alla retorica filo-mercato, soprattutto in Italia, ha prodotto l’illusione ottica che gli elettori fossero attratti da questa svolta politica.

La resistenza elettorale dei socialisti non è stata interpretata come l’effetto dello sponsorship dell’agenda laico-libertaria. Non aver capito che l’adesione di nuovi ceti si concretizzava sulla scia di valori modernizzanti e non sull’adorazione del dio mercato  ha marginalizzato i connotati “socialisti”  dei partiti di sinistra.

Il Pd ha raddrizzato la curvatura moderata impressa dal renzismo e ritorna a porre in cima all’agenda questioni caratterizzanti la sua identità di sinistra come la redistribuzione del reddito e l’eguaglianza.

Era inevitabile che una destra trumpiana come la nostra partisse lancia resta a difendere i privilegi e i patrimoni dall’ “esproprio”, come ha detto senza timore del ridicolo la berlusconiana Anna Maria Bernini a proposito della tassa di successione recentemente evocata.

Il fronte sociale aperto da Letta non solo irrita la destra ma anche chi pretende che non si disturbi il manovratore Draghi. Ma la lotta politica non può andare in soffitta, pena la negazione stessa della democrazia. Anche il governo, e i suoi cantori, se ne facciano una ragione.  

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