Addio Bice. Eri fuggita da una Rsa per andare a vedere il mare. La tua voglia di vivere non ti permetteva di accontentarti di “minestrine e mele cotte”. Hai scelto da sola dove stare e come morire.

Un anno fa la tua fuga aveva fatto un certo rumore: in molti anziani non sopportano più il sistema degli ospizi (pubblici o privati che siano) in cui è strappata via ogni personalità, tolta ogni intimità e talvolta anche negato quel minimo di conforto che permette di vivere.

Sei scappata verso i luoghi dove eri stata in vacanza da bambina. Salvatrice (Bice) Gullotta si è spenta a 81 anni per un infarto a Roma, dove si era trasferita per sua decisione.

C’è stata una sommessa polemica tra l’avvocato di Bice e la figlia, i racconti non collimano. Ma questo ci interessa poco: ciò che è importante nella storia di Bice è il desiderio di vivere e soprattutto di terminare la propria vita in maniera dignitosa.

La nostra società è tanto individualista, tanto preoccupata dei diritti della persona ma non riesce ad immaginarli per la vita fragile o anziana.

Anzi: è talmente spaventata dai bisogni degli anziani e dei fragili da scovare una via di uscita rapida e indolore (così si dice) lontano dagli occhi di tutti, attraverso l’eutanasia o le varie forme con cui viene chiamata oggi.

Non un pensiero o un progetto per le decine di anni in più che la medicina ci offre: solo una exit strategy veloce e celata da ragioni da “ultrà” dell’individualismo. Non si riconoscono le malattie sociali diffuse dei nostri giorni: non si sa e non si vuole trattare la solitudine, il dolore, la sofferenza o semplicemente la fragilità ma si tenta solo di rinchiuderla, istituzionalizzarla, rimuoverla o eliminarla.

Per ottenere tali risultati basta dichiarare che produce “disagio”. Una società che per gli ultimi anni o il fine vita non sa immaginare altro é una società votata al suicidio.

Ma la storia di Bice ci offre un’altra prospettiva: lottare per la vita è sempre possibile. Lei non si è arresa al punto di mettersi contro “il sistema” che la voleva prigioniera e umiliata.

Bice non era una persona strana: aveva lavorato come direttrice delle poste e era stata sindacalista. Sicuramente aveva un carattere forte e non docile ma questo le ha permesso di vivere come voleva lei fino alla fine.

Bice era una ribelle innamorata della vita che voleva decidere da sola per sé stessa, non accettava imposizioni. Quanti di noi sono così? Sempre di più le generazioni che oggi diventano anziane hanno una mentalità di autonomia e indipendenza molto pronunciata: anche di questo il sistema di accoglienza e assistenza degli anziani deve tener conto, perché le storie di rivolta come quelle di Bice si moltiplicheranno inesorabilmente.

I tentativi recenti di sperimentazione di un’assistenza domiciliare diffusa che coinvolgono alcune regioni e in specie la regione Lazio –dovuti all’indefesso impegno e all’immaginazione di monsignor Vincenzo Paglia – con la nuova normativa in merito, sono essenziali.

Come Bice, tanti anziani non si perdono d’animo e vorrebbero vedersi offrire soluzioni alternative al sistema Rsa o degli ospizi (se non peggio, delle “villette” abusive). Bice era riuscita ad andare a vivere in un piccolo appartamento a Roma: se opportunamente sostenuto anche il co-housing diventa una soluzione valida e fa pure risparmiare il bilancio pubblico.

È facile prevedere che per una generazione che si appresta a diventare anziana e così abituata all’autonomia e all’indipendenza, la soluzione “istituzionalizzante” delle Rsa non andrà bene per niente.

Ma la legge e il sistema di assistenza non può risolvere tutto: resta da rendersi conto della grande questione della solitudine. Da giovani e adulti è possibile mettere un po’ a freno i suoi effetti nefasti, ma da vecchi diventa un problema in più e anche quella malattia in più che può uccidere.

Bice era rimasta sola, per sua scelta a dire dei parenti. Si tratta di situazioni sempre più frequenti ormai. Tuttavia è possibile imparare a vivere con altri anche da anziani, e ricominciare daccapo. In ogni caso non si può rispondere a tale domanda sociale con la massificazione spersonalizzante.

Né si può lasciar crescere il disagio e poi manipolarlo per spingere verso la “dolce morte”. Possiamo insieme dare un senso molto più vasto al concetto delle cure palliative.

Una società umana e democratica che si rispetti si sforza di accogliere le domande di autonomia dei propri anziani e dei fragili, cerca nuove soluzioni, non accorcia la vita né utilizza exit strategy disumane e di comodo. 

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