“Statevene a casa vostra” si è sentito ancora una volta ripetere dopo l’ennesimo tragico naufragio davanti alle coste italiane. Decine di morti affogati, donne e bambini soprattutto. Sdegno, raccapriccio e orrore. Ma la risposta di molti resta: state a casa.

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: questa gente casa non ce l’ha, non ce l’ha più, spesso da molto tempo. I rifugiati senza casa nel mondo hanno superato i 100 milioni e crescono di numero. Chi erano le vittime di Cutro? Afghani e siriani.

Andate a vedere – voi che dite “statevene a casa vostra” – la Siria di oggi e l’Afghanistan: non c’è più casa (letteralmente) per milioni e milioni di esseri umani indifesi. Non esiste “casa vostra”. Questo fatto bisogna ficcarselo in testa una volta per tutte.

La guerra, la fame e altre tragedie come il terremoto, spingono molta gente fuori casa, anzi distruggono le case producendo dei senza casa globali. Nessuno li vuole. Noi europei abbiamo leggi basate su principi e valori a cui siamo affezionati.

Dobbiamo –secondo ciò che noi stesso abbiamo scritto- fare lo sforzo di accogliere proprio in base ai nostri principi, per non tradirli. Non c’è scusante possibile in questo.

Non c’è scorciatoia.

L’unica cosa che si può aggiungere è chiedere la solidarietà a quelli come noi, agli altri europei. Sappiamo quanto questo sia difficile da ottenere ma è l’unica strada da percorrere: battersi contro l’egoismo delle nazioni che proclamano i diritti umani.

Per il resto, come dice l’ex primo presidente della Tunisia democratica Moncef Marzouki, non illudiamoci che regimi autoritari ci aiutino a trattenere le persone: da una parte non è loro interesse; dall’altra è proprio da costoro che le persone fuggono.

Abbiamo il privilegio di vivere in paesi dove la legge non è contro la persona e dove i diritti umani sono meno violati rispetto al resto del mondo.

E’ questo il grande pull factor: meglio essere un povero in Europa che uno schiavo altrove, ostaggio permanente della violenza, della malattia, della tortura e della morte.

Chi parte sa di rischiare la vita ma non ha nulla dietro di sé: c’è un enorme vuoto dietro queste persone che fuggono. Nessun posto dove tornare. Nessun casa. Nessuna patria.

Tutto è stato già distrutto alle loro spalle e non resta che fuggire sperando in qualcosa di buono davanti a sé: un approdo, un nascondiglio, un rifugio.

Siamo noi quest’ultimo rifugio. Bisogna che chi dice “state a casa” si renda conto una volta per tutte che sta dicendo un’assurdità: l’unica casa possibile siamo noi.

Non è un’invasione: è un popolo dolente che bussa alle nostre porte e chiede aiuto. Come fare a negarglielo? Non si può.

Cogliamo dunque questa come un’opportunità: se respinti e maltrattati coltiveranno rancore nei nostri confronti ma se accolti, rispettati ed integrati al nostro stile di vita, diverranno i nostri più strenui difensori in questo mondo difficile e talvolta minaccioso. 

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