Per un po’ la strategia dei governi italiani nei confronti della Libia e delle organizzazioni non governative è sembrata soltanto realpolitik, una sequenza di scelte spiacevoli, il genere che talvolta gli uomini di potere sono costretti a prendere in nome della logica del male minore. Il modo in cui l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti – governo Gentiloni, centrosinistra – presentava l’approccio era questo: l’interesse nazionale dell’Italia richiede una Libia stabile, obiettivo raggiungibile soltanto rafforzando il governo ballerino riconosciuto dall’Onu, quello di Fayez al Serraj.

Per sostenerlo bisogna fermare il traffico di migranti, perché i mercanti di uomini prosperano nell’instabilità politica e nell’assenza di autorità. Dunque bisogna evitare che il business del traffico sia agevolato dalle Ong che, piene di buona volontà, salvano tutti in un mare abbandonato dalle navi militari e azzerano il rischio di impresa dei trafficanti. Così la raccontava Minniti e i suoi, tanti, sostenitori ci hanno creduto. Giusto l’imperativo morale delle Ong di salvare vite, ma l’uomo di stato a volte deve essere duro.

Saltiamo avanti quattro anni e vediamo il bilancio. La strategia di Minniti ha fallito, il governo di Serraj non si è mai stabilizzato, allungare trolley di banconote ai trafficanti sulle coste non ha fermato le partenze ma li ha resi più famelici, l’Italia ha perso ogni influenza sulla Libia che è diventata dominio di Turchia e Russia. Sul piano interno, la battaglia di Minniti ha aperto la strada al trionfo di Matteo Salvini.

Le carte dell’inchiesta della procura di Trapani, rivelate su Domani da Andrea Palladino, aggiungono però tasselli importanti a questo già desolante mosaico. Minniti prima e Salvini poi non volevano dire la verità – cioè che erano disposti a far morire migranti in mare per raggiungere i loro obiettivi politici – e dunque hanno costruito la storia della complicità tra Ong e trafficanti.

Con un uso spregiudicato del proprio potere, visto che la realtà non andava dove serviva hanno cercato di darle una spintarella. Talvolta con leggi, altre con l’intelligence, oppure con strane manovre come quelle intorno alle navi di Jugend Rettet e Save the Children: una ex poliziotta fa avere a Salvini presunti elementi contro le Ong, un altro ex poliziotto aiuta gli agenti a infiltrarsi tra i volontari, un altro manda video a Giorgia Meloni.

Nel frattempo, apprendiamo ora, nel 2017 la procura di Trapani intercetta i giornalisti che scrivono di Libia e migranti, cercando le fonti monitorando le loro comunicazioni con le organizzazioni umanitarie. Giornalisti non indagati e non accusati di niente.  Loro, almeno, possono protestare. Le vere vittime di questa vicenda, invece, sono silenziose sul fondo del Mediterraneo.

Tutte le istituzioni italiane, per anni, quindi, si sono mobilitate per costruire una storia che non c’era, quella delle Ong complici dei trafficanti.

Promemoria: Matteo Salvini è sotto processo per sequestro di persona a Palermo. Nel novembre 2018 Minniti si candida addirittura alla segreteria del Pd, facendo leva proprio sulla sua campagna contro le Ong e sul contenimento dell’immigrazione. Oggi è passato con disinvoltura dal seggio di deputato alla poltrona di dirigente di Leonardo, da dove fa l’editorialista di Repubblica. Al vertice del Pd c’è arrivato invece Enrico Letta, che i migranti li salvava in mare con le navi militari di Mare Nostrum e ne andava fiero. Tra le sue prime proposte lo Ius soli. L’ennesimo fallimento di Minniti.

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