Lasciamo stare l’epitaffio sul sistema dei partiti. Che la politica prolunghi una condizione di crisi è sotto gli occhi di tutti. Però la verità è semplice: senza soggetti organizzati una democrazia cessa d’esser tale e diventa un’altra cosa.

Nella partita che ha condotto alla conferma di Sergio Mattarella la politica si è espressa con le leadership oggi a disposizione. Alcune tra quelle, il capo della Lega in testa, si sono cappottate nel parcheggio incapaci a gestire una pratica che chiedeva lucidità e arte del dialogo.

O di qua o di là

Nel campo nostro direi che a pesare sono gli esiti. Il Pd contava su meno di un settimo dei grandi elettori. Enrico Letta era il primo a saperlo e ha speso quella dote minoritaria nel solo modo saggio, evitando diktat poggiati sull’argilla, dissentendo da soluzioni inadeguate, favorendo lo sbocco più in sintonia col sentire di una parte maggioritaria del paese.

Detto ciò i fatti da tenere a mente sono almeno tre e dal modo di gestirli dipenderà la natura dell’anno residuo di questa legislatura. Il primo tema riguarda le conseguenze di quanto è accaduto con un sistema politico che a destra è uscito terremotato e la suggestione di alcuni per una nuova (l’ennesima) operazione centrista.

Il tutto nell’idea che il nostro bipolarismo, per quanto acciaccato, debba far posto a una logica di antico segno. Personalmente resto convinto della posizione espressa da Letta il giorno della sua elezione a segretario del Pd, “o di qua o di là”, e su questo disegno di alternativa alla destra credo sarà bene fondare le prossime mosse.

Un parlamento debole

Il secondo capitolo riguarda il parlamento. La soluzione Mattarella è nata e cresciuta sotto la spinta di decine di schede col suo nome. Ora, se da un lato è possibile, anzi probabile, che nelle ultime chiame una indicazione sia giunta dai vertici delle forze più responsabili, dall’altro non pare logico scaricare sul parlamento accuse più gravi di quante effettivamente esso abbia.

Ciò non toglie che proprio il parlamento rimanga oggi l’elemento debole del nostro sistema costituzionale. Debole non già e solo nella qualità della sua composizione, ma per un paio d’altre ragioni più serie. Perché da anni è costretto sotto il tallone di governi consapevoli di poter legiferare tramite decreti e perché impotente nel dare risposta alle stesse richieste della Corte costituzionale, come da ultimo sui nodi del suicidio assistito o dell’ergastolo ostativo, ma anche perché la prassi dei cambi casacca ha assunto dimensioni intollerabili.

La riforma mancata

Il problema, dunque, è un parlamento svuotato di ruolo e in questo senso la legislatura che imbocca l’ultimo anno di vita alla soluzione del tema ha offerto un solo contributo, dal mio punto di vista sbagliato: il taglio di un terzo della rappresentanza.

A ridosso del referendum che quella forbice ha trasformato in riforma (sic) molti si erano affrettati a rassicurare sul fatto che di lì a un pugno di settimane la cesoia avrebbe aperto la via a una riforma dei regolamenti parlamentari, a un superamento del bicameralismo e a una nuova legge elettorale.

Nulla di tutto ciò si è realizzato a conferma dell’abbaglio. Vi fu allora chi sostenne il dovere del Pd a imboccare quel sentiero nella logica dei pacta sunt servanda (eravamo da un anno al governo coi 5 stelle). Ecco, oggi verrebbe spontaneo rammentare che i pacta vanno rispettati in primo luogo nei confronti di quell’equilibrio delle forme di governo che deve in ogni modo evitare la prevalenza di un potere sugli altri.

Quindi se un ammonimento la vicenda quirinalizia ci consegna è capire che persino in questo parlamento esistono risorse per riaprire il dossier di una democrazia funzionante. Almeno non perdiamo l’occasione dei prossimi 12 mesi e cerchiamo di mettere mano a un pacchetto di riforme da cui dipenderà l’assetto futuro del sistema.

Cosa serve all’Italia

Il terzo fatto da tenere a mente è lo scarto tra le dinamiche del “palazzo” e l’animo prevalente fuori da lì. Qui per forza di cose lo sguardo va agli ultimi 20 mesi.

In milioni hanno convissuto con la pandemia, hanno visto parenti e affetti andarsene in solitudine, anziani rinchiusi in Rsa con la socialità ridotta al solo conforto di pasti e medicine. Molti hanno perso il lavoro, troppi sul lavoro hanno perso la vita, da ultimo l’impennata delle bollette ha spento qualche illusione di un rapido riscatto.

A questa Italia sofferente non si risponde promettendo un bengodi, fosse pure sotto la garanzia di quell’acronimo, Pnrr, che molte risorse ci ha dato e molte di più potrà offrirci se il governo manterrà gli impegni chiesti. Questa Italia ha bisogno di esser vista e rappresentata.

Le riforme nel palazzo

21/01/2022 Roma, lavori per l'installazione del “seggio drive in” nel parcheggio di Montecitorio per permettere ai grandi elettori positivi o in quarantena di votare per il Presidente della Repubblica

Lo scrivo per una ragione in più, perché un cumulo di disagi e disuguaglianze tanto esteso rischia di non disporre di un “ammortizzatore politico” quale, bene o male, è stato il Movimento 5 stelle nell’ultimo decennio.

Ma neppure sembra oggi visibile un adeguato “ammortizzatore sociale”, e non intendo una cassa integrazione per chi ne ha diritto, ma una rete di forze e mediatori (sindacati, associazioni, movimenti) che quel sentirsi isolati e spersi potrebbe a buon diritto tutelare.

Ora, se la fotografia corrisponde al vero, il compito del Pd è assumere una iniziativa dentro e fuori il governo che sia in sintonia col sentimento di questa parte del paese. Ciò che serve è scortare le riforme nel “palazzo” e l’azione nel governo con un messaggio radicale rivolto alla società che arranca, che è rimasta indietro, che teme per sé e i propri figli.

Gli obiettivi

Da sinistra non basta dire ciò che Draghi e i ministri possono fare nelle condizioni date, serve accompagnare a quel lavoro una mappa di obiettivi capaci di interpretare domande irrisolte offrendo una alternativa alla destra.

Fisco, scuola, contrasto alla precarietà, salario minimo, riforma del catasto, beni pubblici in cima al resto, l’elenco è lungo, ma guai a credere che quell’Italia in sofferenza abbia smesso di osservarci e giudicarci.

La frattura tra inclusi ed esclusi si è fatta profonda e per la prima volta, in assenza degli ammortizzatori di sopra, può riversarsi in un’astensione che già ora raggiunge dimensioni inedite e allarmanti per la nostra democrazia. Su tutto ciò non vedo ancora alzarsi l’attenzione che il tema imporrebbe. È tempo che a farlo sia il solo partito che a sinistra ha oggi le risorse per agire.  

© Riproduzione riservata