Ha ragione Gianfranco Pasquino che lo ha scritto ieri su questo giornale: l’alleanza tra Pd e 5 Stelle è inevitabile ma da sola non basta. Attorno a quella serve costruire un impianto di programmi e persone accomunate da una visione di società e di Europa. In una parola, serve una “politica”, concetto che mal si riduce a una somma di candidature e slogan.

Sulla base della premessa e riflettendo su governo e alleanze, sarei per archiviare la discussione se l’agenda Draghi sia o meno l’agenda del Pd nel senso che lo darei per scontato. Con una precisazione. Quel partito, il mio, sostiene il governo in carica convinto che sia un bene per l’Italia e che la figura di Draghi offra oggi le più ampie garanzie di autorevolezza fuori e dentro i nostri confini.

Detto ciò una maggioranza che include Lega e Forza Italia non rappresenta l’alternativa alla destra sulla quale dobbiamo investire per il “dopo Draghi”. Tema questo che esiste a prescindere dalla nostra volontà nel senso che, pure stralciando la partita del Quirinale, è giusto distinguere tra il sostegno al capo del governo e il suo eventuale reclutamento alla testa del centrosinistra che contenderà il paese a Meloni e Salvini.

Aggiungo l’opportunità di distinguere il sostegno attuale da qualsiasi ambizione a rinnovare lo stesso modulo, o simile, nel caso per la terza volta di seguito dalle prossime urne non uscisse una chiara maggioranza politica.

Lo dico al netto degli allarmi sollevati da alcuni su uno scivolamento verso un semipresidenzialismo di fatto conseguito, però, al di fuori da una logica di sistema. Se posso piegarla in altro modo: all’indomani del suo primo e non felice incontro con Donald Trump il commento di Angela Merkel fu: «Il tempo in cui potevamo affidarci ad altri è finito. Adesso dobbiamo farcela da noi». Parafrasandone il senso direi che il tempo dell’affidarci ad altri è finito anche per noi e siccome siamo tornati al bipolarismo, “o di qua o di là”, la cosa da fare è attrezzare il campo “di qua” che vuol dire contenuti, persone e naturalmente leadership.

Il confronto con la Germania

Ora, per attrezzare idee e programmi conviene tenere in conto scenari più larghi della sola nostra vicenda. Penso al voto in Germania tra due domeniche. Come noto lì i sondaggi si sono ribaltati. La cancelliera fatica nel passaggio di testimone mentre il suo vice, Olaf Sholz, si rafforza e pare incrementare il vantaggio dell’Spd, ipotesi ancora a inizio anno ritenuta da tutti impensabile.

E’ vero che ogni contesto è una storia a sé, ma alcune indicazioni hanno interesse per noi nel senso che la svolta di questi ultimi mesi è seguita, non a caso, al lancio del programma della socialdemocrazia. Sono una cinquantina di pagine che mettono in fila proposte non scontate alla luce dei vincoli di governo stretti negli anni della Grande Coalizione.

Salario minimo a 12 euro l’ora, patrimoniale sulle super-ricchezze, la sostituzione del sistema di sussidi varato da Gerhard Schröder con un reddito di cittadinanza, blocco degli sfratti nelle aree della speculazione immobiliare, asili e scuole elementari gratuite, economia sostenibile con la fine del tabù sul pareggio di bilancio previsto dalla legge. Fino al diritto digitale con lo Stato a garantire la fornitura domestica di gigabite. Non lo direi un programma in continuità con la Merkel anche se comprendo la tesi sul candidato della sinistra vissuto quale migliore interprete della stagione ultima.

L’impressione è di un combinarsi di fattori da tenere in conto oltre i confini tedeschi se è vero che la ripresa marcata dell’Spd è dipesa anche da una maggiore radicalità della sua offerta politica o, in altri termini, dalla “visione” suggerita da Pasquino.

Se il voto dovesse confermare le previsioni, dopo molti anni da lassù ci arriverebbe un segnale. Non del fatto che l’agenda Draghi non sia anche l’agenda del Pd, ma che al di là di quella il Pd  ha bisogno di un’agenda propria, almeno per dare uno sbocco politico alle Agorà appena evocate. Insomma, non è di un papa straniero che abbiamo bisogno, ma di un’altra lingua e nuove parole, quello magari sì.

© Riproduzione riservata