Gli elettori si conquistano con un mix di proposte efficaci e convincenti per un pubblico vasto ma non indifferenziato, di dirigenti politici affidabili, empatici e competenti, e di macchine organizzative e comunicative ben strutturate. Questo insieme di condizioni, qui presentato in termini molto essenziali, ha consentito successi storici in Europa.

Pensiamo al trionfo del “new” Labour guidato da Tony Blair, giovane, accattivante leader di un partito rinnovato nella dirigenza e nelle idee, affiancato da un team mitico di spin doctors. In Italia, solo Silvio Berlusconi, grazie a risorse personali uniche, è riuscito a mettere in campo una armata politico-comunicativa di grande efficacia coniugando il mito dell’efficientismo meneghino con l’estraneità al teatrino della politica, il moderatismo anticomunista e le pulsioni populiste con il miraggio liberale-liberista: il tutto riassunto e sublimato nella sua persona. Ora quale percorso virtuoso dovrebbe intraprendere il Pd di Elly Schlein?

Partiamo dalla leadership. L’abbrivio folgorante di Schlein vincitrice a sorpresa delle primarie e l’assalto ficcante al governo sulla vicenda Cutro avevano messo la segretaria sulla rampa di lancio. L’incidente della intervista a Vanity Fair – il riferimento all’ armocromia – ne ha intaccato l’aura. Uno di quei piccoli inciampi che però bastano ad incrinare l’autorevolezza di una leadership. Poi Schlein ha risalito la corrente: manifestazioni riuscite, intese con Landini e con Conte (esibendo qui grande spirito di sopportazione), focus su alcuni temi mobilitanti, dal salario unico alla sanità.

Eppure manca ancora qualcosa. Non si tratta del persistere delle correnti, quanto della individuazione di una nuova classe dirigente. Il Pd dispone di un personale politico di dimensioni e qualità non paragonabili a nessun altro partito grazie alla storia delle sue formazioni generatrici e alla presenza pluridecennale nelle amministrazioni locali. Questo ampio bacino consente una circolazione della elite: oltre a personalità di lungo corso senza adeguata valorizzazione, vi sono schiere di politici sperimentati a livello locale. Queste sono le nuove leve da valorizzare.

L’obiettivo è chi non vota

Con una classe dirigente rinnovata, ma non sprovveduta, il Pd è meglio attrezzato per andare alla conquista degli elettori. Già, ma chi privilegiare? Curiosamente alcuni osservatori hanno invitato Schlein a corteggiare il mondo delle imprese e/o dei “moderati” che si troverebbero tra i resti di Forza Italia. Strani ragionamenti.

Intanto il mondo delle imprese ha abbandonato da tempo Berlusconi, al quale sono rimasti fedeli soprattutto casalinghe e pensionati. In secondo luogo, chi si è posizionato a destra, seppure non all’estrema destra come Lega e Fratelli d’Italia, non attraversa il Rubicone politico per andare a sinistra. Al massimo, alcune briciole andranno ad Azione o a Italia Viva. Ma è poca cosa, come ha dimostrato il fiasco della candidatura Moratti alle regionali lombarde – e qualcuno a sinistra aveva caldeggiato lo sponsorship del Pd per l’iper-berlusconiana ex ministra…! È poi curioso che si inviti il Pd a occuparsi del ceto medio visto che il bacino sociale di riferimento del Pd è composto, da un lato, dalle professioni liberali e dai dipendenti ad alto livello di istruzione, entrambi attratti dai diritti civili di cui il partito è paladino; e dall’altro, dal ceto medio e medio-basso, e dagli operai sindacalizzati.

Semmai sono i ceti sottoprivilegiati, e in molti sensi “periferici”, che sfuggono al Pd e si orientano verso il M5s e , in gran parte, all’astensione. La prateria da conquistare è popolata da chi non vota più, molti dei quali votavano a sinistra. Ma per raggiungerli il Pd deve manifestare una forte carica innovativa, intessuta di proposte tranchant, evocative di futuro diverso. E veicolate in maniera coinvolgente e passionale. In sostanza un messaggio di cambiamento radicale.

Un esempio? Il programma del welfare state del Labour party nel 1945, con la quale venne mandato a casa nientemeno che il vincitore morale della seconda guerra mondiale, Winston Churchill.

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