Il recente intervento dell’Autorità antitrust in materia di appalti pubblici, con la proposta di sospendere l’applicazione del Codice dei contratti pubblici, ha subito suscitato l’opinione entusiasta di chi da tempo demolisce il Codice e la ribadita opposizione di altri, a partire dall’Autorità, l’Anac, che ha competenza per la regolazione e la vigilanza nella materia.

La posizione dell’Antitrust ha innanzitutto il pregio di considerare quello dei contratti pubblici come un vero e proprio mercato. Ma appare non adeguatamente motivata e in più punti contraddittoria.

Il Codice del 2016, con i suoi 217 articoli, ha recepito ben tre direttive del 2014, 250 articoli scritti in un linguaggio non esente da formulazioni criptiche.

Il legislatore italiano vi ha aggiunto norme (circa il 40 per cento del totale) in materie non regolate o solo parzialmente regolate dal diritto Ue, quali la programmazione/progettazione a monte e l’esecuzione del contratto a valle della gara, o le varie figure di partenariato pubblico privato, tanto più rilevanti nel momento in cui si prospetta la necessità di un concorso di investimenti pubblici e privati per il rilancio delle infrastrutture e in genere del sistema economico e la cui disciplina può forse anche richiedere, come da proposta Antitrust, una correzione purché non sganciata dalla normativa generale (la Francia ha riunificato nel 2019 in un unico Codice i testi che rispettivamente regolavano i marchés publics e i contracts de partenariat).

La sospensione del Codice vigente, in attesa di una sua semplificazione, produce due effetti, tutti negativi. Da un lato si lasciano scoperte di norme di legge materie rilevanti che rischiano di essere oggetto di una disciplina frammentata e dal sapore emergenziale. Dall’altro le amministrazioni avrebbero più problemi applicativi che vantaggi.

I funzionari pubblici, che già operano in condizioni organizzative difficili, mentre hanno dimostrato una buona capacità di adattamento alle norme del nuovo codice rispetto a quello del 2006 (i dati sui contratti affidati dal 2017 fino alla pandemia dimostrano che il mercato era in crescita costante), si troverebbero esposti a un improvviso confronto con un diritto europeo di cui hanno tuttora limitata frequentazione, con effetti di incertezza applicativa e di paralisi amministrativa tanto nella  fase della gara vera e propria che nelle fasi ad essa prodromiche o successive.

Modello Genova per tutti?

Proporre di sospendere il codice equivale a dichiarare necessarie, a regime, soluzioni emergenziali e di deroga sistematica (ancora il “modello Genova”!) che tanto piacciono a chi cerca un mercato non semplificato ma soltanto poco (e male) regolato.

La strada, da tempo indicata dall’Anac, è quella di adottare per la fase emergenziale post pandemia, per un periodo di tempo limitato, le norme del codice che già consentono procedure accelerate di aggiudicazione, mentre si opera per la necessaria semplificazione della disciplina codicistica.

Più in generale va posta una domanda: la sospensione serve nella prospettiva di una disciplina che valorizza la discrezionalità delle amministrazioni, come sembra auspicare l’Antitrust, ovvero al ritorno di una normativa di estremo dettaglio e di natura vincolante?

Nel primo caso la sospensione è contraddittoria perché l’ampliamento della discrezionalità, a cominciare dall’adozione prioritaria del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è un obiettivo fondante proprio del Codice del 2106 (poi minato dalle successive modifiche), mentre la direttiva europea in materia (come in altre materie) non è auto-applicativa, ma rimanda al legislatore nazionale.

Nel secondo caso la sospensione rischia di aprire la strada ad un corpo normativo di estremo dettaglio che si aggiungerebbe al codice (come il regolamento esecutivo previsto dalla legge “sblocca cantieri” che conterrebbe oltre 300 articoli).

Un drammatico ritorno all’indietro, in specie al criterio del massimo ribasso (i cui effetti disastrosi sui tempi e la qualità delle prestazioni sono a tutti noti), all’automaticità nell’aggiudicazione, alla normativa di vincolo che deresponsabilizza il funzionario e l’amministrazione, senza dare alcuna garanzia di efficienza, imparzialità e legalità.

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