Se qualcuno pensava che a risanare la palude delle opere pubbliche italiane bastasse il nuovo decreto del ministro alle Infrastrutture e alla mobilità sostenibile, Enrico Giovannini, si sbagliava di grosso. Il provvedimento porta da 57 a 101 (+44) le opere pubbliche italiane da commissariare, e da 29 a 42 (+13) i commissari, con ulteriori 13,2 miliardi di euro da aggiungere agli 83 iniziali.

La necessità di nominare un esercito di commissari per realizzare opere prive non solo di “urgenza” ma anche di una “utilità” dimostrata da una analisi indipendente rappresenta il fallimento delle maggiori stazioni appaltanti pubbliche, dalle Ferrovie dello stato all’Anas e ai vari ministeri interessati a partire da quello del ministro Giovannini.

La variabile materie prime

I commissari, dirigenti spostati dai loro uffici centrali a quelli periferici, finiranno solo per rallentare le attività delle già inefficienti strutture romane e non basteranno per realizzare una scriteriata e generica lista della spesa.

La vera minaccia al piano di realizzazione delle opere è un’altra. È l’incredibile aumento dei prezzi delle materie prime di questi mesi, che metterà a dura prova la realizzazione del piano d’investimenti. Il costo delle opere da avviare o avviate ha già subito un forte incremento dei prezzi, che fino a ieri si è ignorato anche visto che le norme attualmente in vigore non prevedono un adeguamento dei prezzi sulla base degli incrementi delle materie prime. Il risultato è che ogni aggiudicazione che risalga anche al solo inizio di quest’anno è insostenibile e va interrotta prima di generare contenziosi disastrosi, opere ferme e costi alle stelle.

Che fare?

Si sottovalutano gli effetti sulla spesa pubblica complessiva, già altissima anche se sostenuta dai prestiti del Recovery plan, e ci si adegua al volo per evitare di aver messo in moto e pubblicizzato un piano che va attuato solo perché approvato e non perché sia comprovato da effettive necessità.

Compensazioni

Alla debolissima sostenibilità ambientale si aggiunge quella economica. Per moderare gli effetti paralizzanti dell’aumento dei prezzi dei materiali da costruzione, l’acciaio in primis, a causa della pandemia, nel decreto “sostegni bis” si è introdotto un meccanismo di compensazione per le imprese appaltatrici delle opere previste dal piano, che cercherà di evitare i sicuri ritardi che ci saranno nella realizzazione delle opere.

Ovviamente tutti i gruppi parlamentari hanno assicurato la loro piena adesione a questo meccanismo che a fine lavori potrebbe avere conseguenze gigantesche sull’aumento dei costi delle opere. Una previsione? Meglio non parlarne: l’opera e il consenso vengono prima. La dotazione per coprire l’aumento dei prezzi, per non destare sospetti, è di soli 100 milioni, ma per molti esperti del settore le variazioni dei prezzi saranno di almeno il 10 per cento, quindi quasi 10 miliardi in più.

I 100 milioni non bastano per una sola delle opere. Possibile che a Draghi sia sfuggito questo piccolo particolare? Se spese così, le risorse da restituire non saranno più le stesse ma nettamente maggiori o molte meno le opere realizzate. Debito buono anche questo?

Approfittarsi della fretta

Le imprese più strutturate certamente approfitteranno di questa fretta, tutta politica, e si faranno indennizzare lautamente. Il commissariamento prevede la deroga del codice degli appalti e di tutte le norme extrapenali: abolire procedure, garanzie e meccanismi di trasparenza significa non garantire eguale trattamento tra le imprese e calpestare la concorrenza, con il risultato di avere imprese di serie A, a cui non si applica nessun controllo o regola, e altre di serie B, costrette agli iter amministrativi, ai sequestri preventivi, a tutti gli obblighi e le prescrizioni. Confindustria quali aziende tutelerà? E il ministro della sostenibilità di quale sostenibilità si occupa?

 

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