Lo scambio telefonico tra Fedez e la direzione di Rai3 pone questioni di principio e di pratica di governo. La direzione di Rai3 ha contestato a Fedez un uso politico del palco (a favore dell’approvazione e contro i detrattori del ddl Zan). Ma questa è mezza ragione: perfino Nilla Pizzi incorreva nella censura; e pare che fosse stato un cardinale a salvare La dolce vita dalle manie censorie di un governo democristiano.

L’occupazione partitica e ideologica dei mezzi pubblici di informazione è stata una costante in Italia. Ma, basta togliere quella occupazione per essere più liberi? Sì e no. Le libertà di opinione e di espressione non sono identiche al diritto che le garantisce. I diritti vengono difesi per mezzo delle istituzioni le quali, nonostante le garanzie costituzionali, sono immerse nell’opinione generale della maggioranza. La quale è un potere informale penetrante, espansivo e pervasivo. Dunque, tollerare chi canta fuori del suo coro è un esercizio permanente di libertà, dalla cui efficacia deriva l’ampiezza dei diritti goduti. Nessuna carta dei diritti può far questo, anche se è grazie all’abitudine di agire secondo i diritti che ampliamo la nostra libertà.

Significa ciò che non vi è nulla di scandaloso nella vicenda di Fedez perché comunque l’assoluta libertà di opinione e di parola resta una chimera? Non proprio. Significa che le trionfanti retoriche sulle società libere celano un problema: nessun sistema politico è amico fidato della libertà di opinione e di espressione. Vi è solo una valvola di sicurezza: il pluralismo e la trasparenza. Che sono ostacoli contro ogni tipo di lottizzazione, poiché non avendo fuori di sé alcun agente autonomo di controllo la connivenza tra chi governa genera l’humus della censura.

In una sfera pubblica seria, occorrerebbe almeno separare governance da controllo: se non la soluzione finale contro la censura, sarebbe comunque un punto di partenza cruciale per rafforzare la libertà di chi canta fuori del coro.

 

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