Perché tanta corruzione politica in Italia? E da che cosa dipende? Se non riusciamo a trovare una risposta solida a questi interrogativi, l’azione di contrasto resterà debole. Con conseguenze sempre più pesanti non solo per la nostra economia, ma anche per la tenuta delle istituzioni democratiche. Non è possibile stabilire con precisione l’estensione della corruzione.

È però da notare la collocazione nettamente peggiore che ci distingue da paesi nordici, Germania, Gran Bretagna, Francia. E per di più la nostra posizione sembra essersi aggravata nell’ultimo decennio. Ma con differenze significative rispetto a Tangentopoli (come mostra un’interessante ricerca su “Politica e corruzione” curata da Rocco Sciarrone).

Le inchieste di Mani pulite avevano come protagonisti i partiti. Non mancava la dimensione dell’arricchimento personale, ma la finalità principale era il reperimento di risorse per le finanze dei partiti. Il fenomeno era dunque regolato, prevalentemente al centro, dai partiti stessi, spesso in accordo tra di loro nella spartizione dei finanziamenti occulti (tangenti). A trent’anni di distanza i partiti non sono più al centro della scena. Sono degli autobus su cui i politici corrotti salgono per costruire carriere (voto di scambio) e/o per perseguire finalità che sono ora più di rafforzamento del potere personale.

A questo fine si servono di reti che li legano a funzionari pubblici, imprenditori, professionisti – e spesso anche esponenti della criminalità – e coinvolgono tutti i partiti, pur con differenze da non trascurare legate al loro grado di debolezza come organizzazioni.

La corruzione si radica ora maggiormente a livello locale e regionale, incoraggiata anche dal processo di “decentramento irresponsabile” degli scorsi decenni. Quali le strategie di contrasto? Anzitutto, non basta affidarsi all’intensificazione delle indagini e all’inasprimento delle pene. Infatti, quando la corruzione è così diffusa vuol dire che il suo “costo morale” è molto basso. In altre parole, forte sfiducia nella politica e nelle istituzioni legittimano e alimentano a loro volta comportamenti contrari agli interessi collettivi in un circolo vizioso. Far crescere il senso civico è dunque un obiettivo necessario, ma difficile e di lunga lena.

Nel frattempo, si potrebbe però intervenire su due fattori: partiti troppo fragili e decentramento irresponsabile. Sono particolarmente deboli e rischiosi i meccanismi di selezione della classe politica da parte dei partiti. Che sono diventati terreno di facile conquista da parte di reti di interessi e affari. Forse anche come reazione al loro degrado nella Prima Repubblica, si è considerato l’indebolimento dei partiti non solo inevitabile ma anche auspicabile. A esso ha pure contribuito l’eliminazione del finanziamento pubblico (come ha ricordato su questo giornale Piero Ignazi).

Scarsissima attenzione ha ricevuto invece la definizione di uno statuto dei partiti alla luce del dettato costituzionale, che potrebbe offrire garanzie di trasparenza e democraticità nelle scelte interne, comprese le candidature. Abbiamo così assistito alla costruzione di veri e propri “partiti personali”, in cui conta più la fedeltà al capo che l’onestà e la competenza, e al susseguirsi di sistemi elettorali orientati in senso maggioritario che puntano più sui candidati che sui partiti.

In questo quadro, l’introduzione del premierato indebolirebbe ancora di più i partiti e potrebbe quindi offrire un terreno più fertile alla corruzione. Tanto più se ad esso si affiancherà l’”autonomia differenziata”. Che finirebbe per alimentare quel processo di decentramento irresponsabile degli ultimi decenni nel quale l’accresciuta disponibilità di risorse regolative e distributive a livello locale e regionale non si è accompagnata all’introduzione di strumenti di responsabilizzazione della classe politica e di controllo del centro.

Insomma, la forte diffusione della nuova corruzione chiama in causa l’indebolimento dei partiti in un contesto di decentramento fuori controllo e sollecita inoltre una più attenta valutazione critica delle riforme istituzionali proposte dal governo Meloni, anche alla luce delle possibili implicazioni per la corruzione dilagante.

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