Il legislatore è consapevole che il tempo scorra inesorabile, per cui utilizza tale strumento per disciplinare l’esercizio di diritti e facoltà: ad esempio la presentazione della querela “entro il termine di ...a decorrere dalla data del fatto o della sua conoscenza”, il deposito di atti di impugnazione “entro il termine di ... a decorrere da...”.

Il tempo è utilizzato anche per assicurare il rispetto di diritti e per contenerne le limitazioni: ad esempio è previsto un termine per la convalida di arresto e fermo (decorso vanamente il quale la persona deve essere liberata) e un termine massimo di vigenza delle misure cautelari personali.

Prescrizione

Quando il tempo erode il reato o la pena si parla di prescrizione. Il reato si estingue decorso il tempo stabilito dalla legge, se non è stata pronunciata una sentenza irrevocabile; la pena si estingue (nel termine di almeno 5 anni per le contravvenzioni e di almeno 10 per i delitti), se la sentenza definitiva è stata pronunciata, ma non eseguita.

Può accadere pertanto che, pur in presenza di decisione di condanna non più impugnabile, il condannato (sovente perché non è stato trovato) non debba scontare la pena, fenomeno meno noto e meno discusso, ma pur sempre rilevante. Soltanto per i reati puniti con la pena dell’ergastolo il passare del tempo non può produrre alcun effetto.

Il migliore dei mondi possibili dispone degli strumenti per vincere il tempo: i procedimenti sono celeri perché è impegnato un gran numero di persone, non soltanto giudici, ma anche personale amministrativo e forze dell’ordine. Ma se mancano cancellieri e operatori, ad esempio, le notifiche non possono essere eseguite in tempo utile e i processi devono essere rinviati; le decisioni e gli atti di impugnazione non possono essere trasmessi al giudice del gravame né possono essere fissate le udienze.

Cambiano le prospettive

Intanto il tempo scorre, le persone indagate o condannate mutano, le decisioni vengono percepite come ingiuste, perché non più aggiornate. È possibile dunque che sopravvengano ragioni per le quali lo stato non abbia più interesse a punire.

Nel migliore dei mondi possibili esistono accorgimenti per evitare che il tempo diventi un espediente per bloccare le decisioni. Sino a oggi, invece, il sistema delle notifiche è molto complesso e favorisce chi si voglia sottrarre alla comunicazione di atti. Le impugnazioni possono essere proposte sostanzialmente senza limiti e meritano tutte di essere vagliate senza che l’imputato, se unico appellante, corra il rischio di una decisione più severa.

La macchina della giustizia si inceppa, è lenta, non può concentrarsi sulle questioni veramente serie e i reati si estinguono per prescrizione.

Il tempo è un assillo per il giudice, che combatte quotidianamente una lotta impari, affiancato da personale sparuto e, per quanto impegnato e dotato di senso di responsabilità, del tutto insufficiente.

La soluzione

Quale è la soluzione? A mio avviso non azzerare fittiziamente il tempo, ma dotare il sistema di nuove e molteplici energie e meccanismi per scoraggiare le doglianze infondate nonché di effettivi strumenti informatici (ad esempio la creazione di un portale, mentre ora si devono rincorrere le Pec, che cadono a pioggia nelle cancellerie e richiedono tempi lunghissimi di lavorazione oltre a creare grande margine di errore).

Ritengo tuttavia che il tempo non possa essere del tutto ignorato, laddove raggiunga proporzioni importanti, perché è un fenomeno reale che incide sulla adeguatezza della sanzione.

Ma ciò dovrebbe costituire l’eccezione, mentre oggi gli uffici giudiziari sono oberati da un carico di lavoro enorme, accumulato inesorabilmente nel tempo, e il tempo rappresenta talvolta l’unico modo per concludere un procedimento, ma in tal caso la decisione non può riguardare il merito.

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