Prima il leader, poi i territori. Così primeggiano i cacicchi

Una lunga campagna elettorale per le regionali in cui finora si è parlato esclusivamente dei candidati presidenti piuttosto che delle regioni e dei loro problemi. Ma funziona davvero la ricetta italiana di valorizzare la leadership personale per rafforzare il rendimento della politica a livello locale e regionale? L’esperienza delle regioni solleva in realtà molti dubbi sull’efficacia della personalizzazione, che peraltro si vorrebbe estendere anche a livello centrale, da ultimo con la proposta del premierato. La funzione essenziale delle regioni nel nostro ordinamento riguarda la valorizzazione del ricco e differenziato capitale territoriale del paese. Oltre i retroscena elettorali, si torni a parlare di regioni Questo obiettivo è però perseguito in modo poco efficace. Ci sono naturalmente differenze significative tra le regioni, ma in generale sono cresciute le tendenze autoreferenziali e rivendicazioniste. Le regioni sono apparse alla ricerca di risorse e poteri per sé stesse, piuttosto che in funzione della loro capacità di valorizzare le specificità territoriali in chiave nazionale, come mostrano per esempio le vicende del Covid, dell’autonomia differenziata, dei fondi europei e molte altre. E come ha segnalato la Corte Costituzionale. Di questo si dovrebbe dunque parlare in occasione di una serie di elezioni come quelle del prossimo autunno (lo ha sottolineato su questo giornale Pino Pisicchio). Perché le regioni non riescono a svolgere efficacemente il loro compito? I fattori sono molti, ma per rispondere occorre guardare proprio agli effetti di quelle riforme elettorali e istituzionali fatte a partire dagli anni ’90, con l’elezione diretta e il rafforzamento dei ruoli di vertice (sindaci e ‘governatori’). In quegli anni, di fronte al degrado dei partiti tradizionali, reso ancora più evidente dalle vicende di Tangentopoli, si creò un consenso diffuso per riforme elettorali e istituzionali volte a ‘liberare’ i presidenti delle regioni dal condizionamento dei partiti, che fra l’altro determinava un’instabilità endemica dei governi regionali. Perché le elezioni regionali nelle Marche saranno il test più importante In sostanza si affermò il convincimento trasversale che si dovesse fare a meno dei partiti, piuttosto che cercare di rafforzarne il ruolo nella formazione dell’indirizzo politico e nella selezione e nel controllo della classe politica sulla base di programmi. Con quali conseguenze? È vero che l’instabilità delle giunte si è drasticamente ridotta ma non sembra che ciò abbia influito in misura significativa sulla performance delle regioni, misurata con la realizzazione di beni pubblici (infrastrutture, servizi) tarati sulle specifiche esigenze dei territori. Infatti, il rafforzamento dei vertici istituzionali – la personalizzazione – ne ha potenziato il ruolo, ma li ha anche maggiormente esposti al soddisfacimento a breve delle domande delle diverse categorie e dei cittadini-elettori, i quali votano ora più sulla base delle qualità personali (politiche e private) attribuite ai candidati, ma vogliono risposte rapide. Da qui discende anche una spinta da parte dei ‘governatori’ a mettere in campo politiche distributive a breve per costruirsi reti di relazioni e larghe basi di consenso personale, che confliggono però spesso con la capacità di valorizzare il capitale territoriale e di produrre benefici collettivi. D’altra parte, l’indebolimento dei partiti e la personalizzazione della leadership favoriscono la formazione di reti di interessi locali e aggregazioni personalistiche – facenti capo ai ‘cacicchi’ – che condizionano anche le scelte dei partiti a livello centrale autopromuovendosi, come si è visto nella vicenda delle candidature. Insomma, ce n’è abbastanza per rimettere seriamente in discussione la ricetta basata sulla personalizzazione politica. Le regionali possono essere la svolta del centrosinistra La campagna elettorale ha però finora privilegiato proprio il ruolo dei candidati, non solo per le spinte provenienti dai territori, ma anche per quelle della dirigenza nazionale dei partiti a utilizzare la scelta dei candidati come componente essenziale nella costruzione delle alleanze nazionali tra le forze politiche. La naturale predilezione dei media per le storie e le qualità dei leader ha fatto il resto.