Enrico Letta ha preso le redini del Pd in un momento drammatico, per il partito e per l’Italia. Per ora, lo guida in modo energico e credibile. Come annunciato, in questi giorni i circoli stanno dibattendo i suoi 21 punti programmatici.

Vi si trovano molte idee condivisibili: sull’Europa le alleanze internazionali, il governo Draghi, i diritti civili, la questione di genere, l’istruzione, la sfida digitale. Vi sono però tre questioni che restano aperte. Tre sfide cruciali.

La prima è la forma partito. Al punto 21 si parla di «aprire le porte»alla società civile. Questi propositi non sono nuovi. Se ne trova traccia perfino nel film di Nanni Moretti Palombella rossa (1989).

Il problema è che, male interpretati, hanno portato alle primarie aperte per il segretario, di fatto facendolo scegliere da chiunque passi per strada. Forse, sarà bene chiarire che oggi l’apertura all’esterno deve andare insieme alla valorizzazione degli iscritti.

Questo significa rendere il Pd «attrattivo». Ma attenzione: attrattivo nel senso di una comunità di destini, di un orizzonte di vita, un ideale per cui impegnarsi. L’ambiente, la giustizia sociale, i diritti.

È per questo che molti oggi fanno volontariato, ma non si iscrivono più ai partiti. Il Pd dovrebbe recuperare questa vocazione, con un profilo chiaro su questi tre temi (che poi è anche il migliore antidoto alla degenerazione correntizia). In aggiunta, stabilire che solo gli iscritti possono eleggere il segretario, come avviene di norma in tutti i partiti occidentali.

I 21 punti non contengono proposte specifiche sull’ambiente. Ma ancora di più sono vaghi sul lavoro, e perfino sulla sanità. Perché non legare, ad esempio, la questione giovanile e demografica all’esigenza di ridare dignità al lavoro, di superare il precariato? O a una riforma del welfare che tuteli anche i non garantiti, partite Iva e precari? Perché non parlare in modo esplicito di sanità pubblica?

L’enfasi e l’attenzione sui diritti civili, a partire dallo ius soli, sono giusti, sacrosanti. Ma se non li si accompagna con accenti altrettanto chiari, e puntuali, sull’ambiente e sui diritti sociali, si rischierà di fare (di nuovo) un partito sbilanciato, cui mancherà la forza per sconfiggere le destre e il populismo.

Le nomine della segreteria fanno ben sperare: l’arrivo di Peppe Provenzano come vice, la conferma di Chiara Braga all’ambiente, la scelta di Sandra Zampa alla Sanità. Come fa ben sperare la sinergia che potrà instaurarsi con alcuni ministri del governo Draghi (Orlando al Lavoro, ma anche Giovannini alle Infrastrutture, Speranza alla Salute).

Le alleanze

Più complicato sarà invece il tema delle alleanze, che si lega alla legge elettorale. Il proporzionale consente a ogni partito di presentarsi con il proprio programma, per poi fare alleanze dopo il voto (e il partito maggiore magari esprime il premier). Letta sembra preferire il maggioritario, in linea con leader storici da Prodi e Veltroni. Guardando all’esperienza degli altri paesi, o anche solo alla recente storia italiana, l’impressione è che sulla carta nessuno dei due sistemi garantisca a priori più stabilità (ma, se ben fatto, il proporzionale può garantire una migliore rappresentanza).

Con il maggioritario, affinché la coalizione del Pd sia competitiva, le alleanze, le più ampie possibili e al tempo stesso credibili, andranno fatte prima del voto, non dopo. L’esito probabilmente sarà un’alleanza ancora più organica con il Movimento guidato da Conte: bisognerà decidere insieme i candidati di tutti i collegi, e sostenerli insieme.

Bisognerà avere un programma comune. Bisognerà probabilmente decidere prima del voto, e non dopo, anche il candidato premier, come avveniva già con l’Ulivo. Conte o Letta? Il dilemma non sarà di facile soluzione, specie vista la perdurante popolarità del primo.

Al contempo, è improbabile che si riesca a costruire una coalizione così ampia che vada da Renzi fino a Leu e i Cinquestelle, già prima del voto. Ma il consenso di Renzi è ormai talmente ridotto, e la sua figura così divisiva, che forse con lui ormai sono più i voti che si perdono, che quelli che si guadagnano. E questo anche lasciando da parte la sua amicizia con il principe saudita Bin Salman.

Ragionevolmente, si dovrebbe puntare però a includere nella coalizione i liberal-democratici più coerenti, che si stanno organizzando attorno a Carlo Calenda e Carlo Cottarelli. E forse la nascita di una coalizione larga, di questo tipo, è un bene in sé, per il paese (non è solo indispensabile per vincere). Ma fra tutte e tre, questa sembra la sfida più difficile.

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