«Nessuna sanzione penale o amministrativa dovrebbe essere comminata alle navi delle ong che rifiutano di seguire le istruzioni dell’autorità competente quando queste mettono a rischio l’efficacia dell’operazione di salvataggio o implicano che i sopravvissuti vengono sbarcati in un luogo non considerato sicuro come la Libia».

È durissimo l’atto di accusa della commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, nei confronti dei paesi europei e in particolare dell’Italia: «Nonostante alcuni progressi limitati, la situazione dei diritti umani nel Mediterraneo rimane deplorevole. I naufragi continuano a essere preoccupanti. Ho osservato una diffusa riluttanza degli stati europei a istituire un sistema di protezione adeguato in grado di garantire almeno il diritto alla vita dei rifugiati e dei migranti che tentano di attraversare il mare e di garantire che non siano esposti a gravi violazioni dei diritti umani come la tortura».

La risposta dei paesi europei è l’esempio lampante di come le cattive politiche migratorie mettano in discussione il rispetto dei diritti umani e «costino la vita a migliaia di esseri umani». Il rapporto della commissaria Mijatović non fa sconti alla politica di “esternalizzazione delle frontiere” inaugurata dall’ex ministro dell’Interno italiano Marco Minniti e portata avanti da tutti i suoi successori. E nonostante le raccomandazioni fatte dalla stessa commissaria l’anno passato, è evidente che sulla rotta del Mediterraneo centrale «le attività di cooperazione con i paesi terzi, compresa la Libia, sono state intensificate nonostante le prove innegabili di gravi violazioni dei diritti umani e senza applicare salvaguardie dei diritti umani o principi di trasparenza e responsabilità» causando oltre 20mila rimpatri (censiti) tra il 2019 e il 2020.

Richieste inascoltate

Non solo: nonostante le reiterate richieste della Commissione europea, gli stati membri – in particolare l’Italia – non solo non hanno implementato le attività di soccorso o aumentato le risorse impiegate nel search and rescue, ma hanno continuato a ostacolare le attività delle ong e persino delle navi commerciali che hanno operato salvataggi. Sembra proprio che «la riduzione della capacità di soccorso lungo le principali rotte migratorie, oltre agli incidenti in cui sono state istruite le navi commerciali o delle ong – scrive Dunja Mijatović – siano specificamente mirate ad aumentare le possibilità che i migranti in mare siano intercettati dalla Guardia costiera libica. E questo indipendentemente dalla sua ben documentata incapacità di rispondere alle chiamate di soccorso, di condurre soccorsi sicuri e di fornire un luogo sicuro per lo sbarco».

Sotto accusa anche Frontex, la missione europea che dovrebbe garantire non solo il controllo delle frontiere ma anche la sicurezza di chi prova a scappare da fame, guerre, stupri, violenze e discriminazioni. Nata come missione prevalentemente navale, oggi è operata praticamente solo con apparecchi di sorveglianza aerea come velivoli militari o droni. Ma «le informazioni raccolte da aerei, droni e satelliti degli stati membri e delle agenzie dell’Ue sembrano essere particolarmente favorevoli a ulteriori intercettazioni e rimpatri da parte della Guardia costiera libica verso porti non sicuri, contrariamente al diritto marittimo internazionale e ai diritti umani».

La revisione dei decreti sicurezza non tranquillizza certo la commissaria. Secondo i nuovi decreti infatti le navi che prestano soccorso devono, per non incorrere in sanzioni, avvisare immediatamente le autorità competenti. Peccato che tra queste ci siano anche le “autorità” libiche, nonostante le innumerevoli prove che dicono che la Libia non può essere considerata un posto sicuro.

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