Siamo a un finale, alla fine del ciclo trentennale della destrutturazione della vita democratica italiana. Si poteva pensare che l’elezione del presidente della Repubblica potesse essere l’inizio della soluzione alla crisi istituzionale. Ma è una crisi che non si può affrontare guardando a un solo aspetto. Una delle formule più ingannevoli è «l’interesse nazionale». Ma cos’è?

La dimostrazione che non abbiamo una classe dirigente all’altezza di questa crisi è in questi giorni di scadenze istituzionali ineludibili. L’elezione del presidente della Repubblica, i referendum sulla giustizia fra tre mesi, la preparazione delle elezioni politiche che al massimo avverranno fra un anno e che tra sei mesi comunque ci vedrà tutti pronti a creare distinzioni e ricollocazioni per una tensione elettorale di imprevedibile esito.

Senza dire che alla fine di questi sei primi mesi dell’anno vi è una scadenza degli adempimenti del Recovery fund. E tutti sanno che siamo in ritardo. Con una tensione sociale che, oltre ai problemi di riequilibrio delle diseguaglianze fra gruppi impoveriti e minoranze arricchite, vedrà un’inflazione che farà scoppiare il problema dei salari e delle pensioni. Ci sono studi che ci spiegano che da 15 anni siamo l’unico paese di Europa in cui l’incremento salariale è stato di segno negativo. I nostri salari sono caduti del 2,9 per cento.

Berlusconi e Non Berlusconi

Avremmo dovuto assistere ad una discussione seria, invece da due mesi tutto il sistema politico si esercita sullo scioglimento della riserva della candidatura di Berlusconi, e cioè di chi è stato beneficiario e autore della crisi trentennale.

La sinistra, quella residua, non ha un candidato da contrapporre, ma un candidato virtuale: è il "Non Berlusconi". Dunque il trentennio nasce con l’avvento del berlusconismo e cade con il crollo del berlusconismo, e la curiosità non è vedere come va a finire la Repubblica italiana, ma l’ultimo disperato disegno di sopravvivenza di Berlusconi.

 Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse. Letta e Speranza da Conte per discutere delle elezioni del Presidente della Repubblica.

Tra sette giorni ci potremmo trovare alla presa d’atto dell’impossibilità di trovare una soluzione a una scadenza che cambierà la vita istituzionale del paese. Che è il vero «interesse nazionale». Ma come si possono utilizzare le regole di un sistema in crisi per risolvere la crisi del sistema? È un esercizio di acrobazia matematica, un’equazione contro troppe incognite.

In settimana avremo una prima misurazione dell’abisso. Chiunque dovesse andare al Colle, anche il più capace e prestigioso, si troverà a prendere provvedimenti per uno stato di necessità per l’insuccesso delle soluzioni ai precedenti stati di necessità. Abbiamo usato tutte le carte.

Accordo di fine legislatura

Oggi non si tratta di trovare i migliori per essere giudicati dalla comunità internazionale, ma i più capaci per risolvere i nostri problemi, economici ed oltre. Gli ultimi provvedimenti non possono attingere agli scostamenti di bilancio e allora rodono nei margini residuali degli scostamenti non ancora utilizzati. Ristori e bonus con effetto retroattivo: e questo non ci declasserà solo nell’apprezzamento internazionale, ma renderà invivibile la vita interna.

Come potrà reggere un qualsiasi governo di forze politiche che tra sei mesi devono cominciare a parlare al paese di come risolvere il problema dei prossimi cinque anni. Ed il ridicolo arriva quando si parla di «accordo di legislatura», altra formula usata a sproposito. Ma cosa vuol dire quando si è alla fine della legislatura? È un inganno: dite chiaramente che è un «accordo di fine legislatura», e si capirà subito che è un accordo impossibile.

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