Welfare state e nazionalizzazione dei servizi essenziali hanno formato le pietre angolari della socialdemocrazia postbellica europea. Un modello che anche le componenti democratico-cristiane e persino conservatrici (in Gran Bretagna) accettarono nei primi decenni dopo il 1945. L’Italia ha faticato a raggiungere un sistema di protezione sociale paragonabile agli standard continentali. Nei primi anni congiurava uno stato di arretratezza socio-economica e culturale che non aveva pari (pensiamo solo al numero degli analfabeti censiti nel 1951). Ma anche quando l’impetuoso sviluppo economico pose le premesse per lo slancio riformatore del primo centrosinistra, quello del 1962-64, l’Italia non è riuscita a fare un deciso passo in avanti.

È stato l’intervento massiccio e tambureggiante del “quarto partito”, già denunciato da Alcide De Gasperi negli anni Cinquanta – che, all’epoca, non erano i mass media bensì i proprietari dei mezzi di produzione – a frenare l’evoluzione del paese verso lidi europei. Troppo gracile la componente illuminata e progressista della borghesia rispetto a quella compradora e affarista.

Il conseguente, relativo fallimento dei La Malfa e dei Giolitti, per non citare che due personalità dell’agguerrito nucleo di riformatori di sessant’anni fa, ha pesato in maniera determinante sullo sviluppo economico e sociale. Non aver affrontato allora le storture, i disequilibri, le diseguaglianze, i privilegi, le rendite, (per non parlare di malaffare, clientela e corruzione) ha inciso anche sullo sviluppo del nostro sistema di welfare: in particolare, ha risentito della contraddizione tra la visione particolaristica e clientelare della Dc e la pulsione universalista delle sinistre riformiste (con il Pci che rimaneva a metà strada).

Due schieramenti

Oggi è di nuovo di attualità una misura di protezione sociale universalistica rivolta a tutte le persone indigenti; e di nuovo si profilano due schieramenti socio-economici e politici contrapposti. Da un lato chi ritiene che la povertà sia una colpa, causata sostanzialmente dalla pigrizia e dalla cattiva volontà individuale, dall’altro chi pensa che ogni persona abbia diritto a ricevere un sostegno senza dover ricorrere alla carità pelosa. Nel dibattito in corso sul reddito di cittadinanza, a cui uno dei massimi esperti internazionali, Maurizio Ferrera, ha dedicato commenti illuminanti, gli schieramenti si sono delineati chiaramente. Il fronte contrario al reddito di cittadinanza annovera, oltre alle destre sostenute gagliardamente della Confindustria d’assalto di Carlo Bonomi, anche i neocentristi alla Matteo Renzi, che in tal modo hanno stabilito definitivamente da che parte stanno. Il fronte favorevole vede Pd e ovviamente M5s. Questo è il nuovo discrimine politico che definisce le appartenenze a un campo o all’altro e inevitabilmente rafforza le alleanze. Il tripolarismo è morto da un pezzo e il nuovo bipolarismo non può che costituirsi su una nuova questione sociale e sulla creazione di nuovi sistemi di protezione.

 

© Riproduzione riservata