Ci sono referendum che segnano un cambio di scenario, mettendo in evidenza lo spostamento dell’opinione pubblica rispetto a temi di attualità. Era dunque inevitabile che il mancato raggiungimento del quorum a Berlino, rispetto alla proposta di anticipare la neutralità carbonica della città al 2030, aprisse un dibattito rispetto agli impegni sul clima e in particolare rispetto alla credibilità degli obiettivi di decarbonizzazione fissati da tante aree urbane. Senza contare l’ammissione da parte di Copenaghen dell’impossibilità di raggiungere il target fissato al 2025.

Questa discussione non è importante solo perché le città oggi rappresentano il cuore della sfida tecnologica e sociale della decarbonizzazione, ma è anche di grande interesse perché un gruppo di 100 città è stato selezionato dalla Commissione europea per definire un piano per anticipare la decarbonizzazione al 2030, in una Mission che vede coinvolte nove città italiane, da Roma a Milano, da Bologna a Firenze, Bergamo, Padova, Parma, Prato e Torino.

Oggi non esistono scuse

Una questione sottovalutata è che, almeno in Europa, non esistono scuse tecnologiche o ragioni economiche che rendano oggi l’obiettivo impossibile. È solo una questione di tempo, ma la strada è segnata con direttive europee che indicano con sempre maggiore dettaglio i tempi e le forme per l’eliminazione dell’uso dei combustibili fossili nei sistemi di riscaldamento degli edifici e di elettrificazione della mobilità, con tecnologie sempre più accessibili, affidabili, integrate.

Milano avrà tutto il trasporto pubblico elettrico al 2030 non solo per ragioni ambientali, ma perché riduce la spesa complessiva di gestione. Roma sta portando avanti un progetto di riqualificazione energetica di oltre 200 scuole e di creazione di comunità energetiche dove si dimostra che staccarsi dal gas conviene e con questi modelli si può condividere l’elettricità con famiglie e attività in difficoltà con questi prezzi dell’energia.

E tante altre sono le innovazioni in corso in ogni aspetto di gestione energetica delle imprese, degli edifici, nel ciclo dei rifiuti che stanno portando ad una radicale riduzione delle emissioni di gas serra, o di cattura e stoccaggio, come ad esempio avrà Oslo dal 2026 per le emissioni del termovalorizzatore. Ma il fattore tempo sarà decisivo, perché solo se saremo capaci di accelerare ora ci sarà la possibilità di ridurne i costi e condividere queste innovazioni con il resto del mondo, e fermare la crescita delle temperature del pianeta entro 1,5 gradi.

Le città saranno sole?

Inutile girarci intorno, siamo già dentro una rivoluzione che vede protagonisti migliaia di interventi da parte di imprese e famiglie, ma saranno le risorse e le politiche pubbliche a segnarne o meno la velocità, la trasversalità e il successo. Perché serviranno ingenti investimenti nelle reti energetiche e della mobilità, incentivi e prestiti per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, regole chiare e flessibili per accompagnare un processo che si trova ancora barriere rilevanti da superare. Vale per tutte le città, ma in particolare per quelle italiane che grazie al Pnrr stanno realizzando investimenti senza precedenti, ma che non sanno cosa succederà dopo.

Con l’arrivo di Salvini al ministero delle Infrastrutture l’attenzione si è infatti spostata dalle metropolitane e tram al Ponte sullo Stretto e alle solite autostrade. Mentre dal ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin non arriva ancora nessuna notizia su cosa ci sarà dopo il superbonus per rendere gli edifici più efficienti. Si troveranno sole ad affrontare questa immane sfida o troveranno una sponda nel governo? E troveranno i nuovi vertici di Enel, Terna ed Eni a supportare un’innovazione industriale che può generare benefici per tutto il Paese o vedremo in atto lo scetticismo climatico del centrodestra? Sono tante le ragioni per andare a vedere i piani di queste città italiane impegnate sul clima e se saranno capaci di disegnare traiettorie di innovazione credibili, perché potrebbe avere un valore politico che va oltre le singole storie locali. Per riuscirci aiuterebbe intanto avere dai media italiani un’attenzione meno provinciale nel raccontare quanto sta accadendo nelle città europee. Come per il referendum di Parigi sui monopattini, raccontato come una sonora bocciatura per questi mezzi della micromobilità elettrica, senza specificare che aveva votato il 7 per cento dei cittadini. Soprattutto se si pensa al confronto con il racconto del fallimento di quello della capitale tedesca sulla decarbonizzazione, dove alle urne era andato oltre un terzo dei berlinesi.

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