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Era il 2009 quando 35mila lombardi proprietari di terreni, case e fabbriche sono stati avvisati che le loro proprietà sarebbero state espropriate per lasciare spazio alla costruzione dell’autostrada Pedemontana lombarda che doveva tagliare in due la Brianza per 67 km.
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Da allora solo il 30 per cento dell’autostrada è stato realizzato e 25mila cittadini, da oltre 12 anni, sono ostaggi della Pedemontana.
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Per le norme in vigore si può tenere sotto esproprio una proprietà per massimo sette anni. Con un blitz illegittimo il Cal ha di nuovo prorogato l’esproprio fino al 2023. Una vera e propria violazione delle prerogative dei cittadini che non ha precedenti nella storia del diritto in Italia.
Era il 2009 quando 35mila lombardi proprietari di terreni, case e fabbriche sono stati avvisati che le loro proprietà sarebbero state espropriate per lasciare spazio alla costruzione dell’autostrada Pedemontana lombarda che doveva tagliare in due la Brianza per 67 km. Il Cipe aveva approvato il progetto definitivo. Da allora solo il 30 per cento dell’autostrada è stato realizzato e 25mila cittadini, da oltre 12 anni, sono ostaggi della Pedemontana. Prigionieri in casa loro senza poterla vendere o ristrutturare. Privati della disponibilità delle loro proprietà.
Per le norme in vigore si può tenere sotto esproprio una proprietà per massimo sette anni. Due anni fa sono stati allungati i tempi fino allo scorso gennaio. Con un blitz illegittimo favorito da una azione pilatesca del ministero delle Infrastrutture, il Cal (Concessioni autostradali lombarde), parente stretto di Aria spa (la società informatica che ha fallito nella gestione della campagna vaccinale della regione), ha di nuovo prorogato l’esproprio fino al 2023. Una vera e propria violazione delle prerogative dei cittadini che non ha precedenti nella storia del diritto in Italia. Una situazione insopportabile che potrebbe portare a migliaia di ricorsi amministrativi su cui il governo Draghi farebbe meglio a vigilare.
Certo quella di Pedemontana non si può definire una storia di finanza di progetto, seppure sia cominciata con queste intenzioni e regole. Regole che parlavano chiaro: 4 miliardi di costi, il 33 per cento (1,2 miliardi) a carico dello lo stato, il resto finanziato in parte dal concessionario (all’epoca 500 milioni) e dal mercato. I lavori sono partiti grazie ai soldi pubblici, saliti dal 33 per cento all’80 per cento, ma senza quelli privati, se si esclude un prestito “ponte” da 200 milioni concesso dalle banche socie a tassi esorbitanti (oltre il 7 per cento) che sarà pagato con risorse pubbliche.
Il Covid porta il rinnovo
Qualche mese fa la concedente di Pedemontana lombarda, quella Cal che è partecipata per il 50 per cento dalla regione Lombardia e per il 50 per cento da Anas e che vanta (se così si può dire) la gestione di Pedemontana, BreBemi e Tangenziale est esterna (due autostrade fallimentari), ha rinnovato gli espropri già scaduti nel 2017 e poi nel 2019.
Il rinnovo, che Cipe e ministero si sono ben guardati dal concedere, ha sfruttato uno dei decreti Semplificazioni figli del Covid, che ha trasferito provvisoriamente la competenza al concedente se ve ne sono le condizioni e le motivazioni. Anziché liberare dai vincoli cui sono sottoposti 25mila cittadini la regione insiste con un progetto fallimentare. Va bene l’interesse pubblico, ma la proprietà privata non può essere vincolata in eterno se l’opera non si fa.
L’ipotesi di un’ulteriore proroga era stata esplicitamente esclusa nella delibera Cipe in occasione del rinnovo del 2019, prescrivendo che gli espropri dovevano essere completati entro il 2021. Il ricorso contro questa prescrizione – promosso dal concessionario Pedemontana – è stato rigettato dal Tar il 4 giugno 2020, cosa ben nota al concedente Cal che era stato chiamato nella stessa causa ma aveva evitato di costituirsi in giudizio (forse per poter far finta di non sapere).
Una catena infinita di atti in dispregio della legge, delle procedure (Pedemontana ha pubblica l’avvio del procedimento ma non la chiusura, Cal la chiusura di una cosa che non ha mai avviato) delle istituzioni ma soprattutto di quelle migliaia di cittadini che da oltre 12 anni e chissà per quanto ancora vedranno i loro beni vincolati senza poterne disporre, senza rimborso e in definitiva senza diritti, ostaggi di quello che è ormai diventato un obiettivo politico da realizzare per non dover ammettere il fallimento della regione.
Tutto questo senza alcuna prospettiva che l’opera possa ripartire. Tra poche settimane scade il termine per il finanziamento “monstre” da oltre 2 miliardi che ancora non si vede nonostante la montagna di soldi, garanzie e altre sciagurate iniziative (come far comprare Serravalle dalle Ferrovie nord per avere i soldi per finanziare Pedemontana) messi in campo dal governo regionale.
E comunque, se anche alla fine il finanziamento arrivasse, non servirebbe a nulla, visto che l’appalto è stato aggiudicato ai soliti noti (Webuild e Pizzarotti) quando l’acciaio costava la metà di oggi e quindi quei soldi, per quanto troppi, non basteranno mai. Assegnare i lavori prima di aver ottenuto la provvista finanziaria di 2 miliardi è una prassi irresponsabile e in contrasto con i criteri attuativi dei project financing. La Pedemontana continua a essere uno strumento di propaganda e di consenso per la regione. Basta vedere l’esorbitante numero di addetti, oltre un centinaio per 20 chilometri di rete in gestione, nonostante l’autostrada sia priva di caselli e di casellanti.
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