«Occorre fare i conti con le lacune, la frammentarietà e talvolta le contraddizioni che caratterizzano le regolazioni dell’attività di rappresentanza degli interessi particolari presso i decisori pubblici (lobbying) e il conflitto di interessi»: con queste parole la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha concluso la sua audizione alle Commissioni parlamentari sulle linee programmatiche del suo mandato.

I richiami all’Italia

La ministra Cartabia ha ragione: il 22 marzo il Groupe d'Etats contre la Corruption (GRECO) del Consiglio d’Europa richiamerà nuovamente l’Italia sulla mancata regolazione organica del lobbying (come già fatto lo scorso dicembre con la Germania). Ma perché è così importante ed urgente intervenire in materia?

In primo luogo, perché la legge Severino ha introdotto una nuova fattispecie di reato, il traffico di influenze illecite, che tende a punire chi, sfruttando rapporti e conoscenze col decisore pubblico, si fa dare o promettere una qualche utilità da un terzo al fine di influenzare tale decisore.

Tale fattispecie, ulteriormente complicata nel 2019, crea un danno al sistema giudiziario: come ha sottolineato Cartabia, consegna «al giudice penale il compito di reprimere la deviazione patologica di certe attività, senza che prima sia stato definito il perimetro della loro fisiologica esplicazione». La stessa richiesta urgente di regolare il lobbying era stata presentata dall’allora ministra Paola Severino nel corso dei lavori parlamentari relativi alla legge che porta il suo nome.

La Costituzione impone l’imparzialità del decisore pubblico che, prima di decidere, deve ascoltare tutti i portatori di interessi particolari e non soltanto coloro con cui intrattiene già rapporti. Per assicurare l’imparzialità del processo decisionale, serve la trasparenza: oggi è impossibile comprendere chi c'è dietro un certo emendamento, o un disegno di legge, o chi ha influenzato chi e per quale motivo.

Come ha ricordato nel 2004 la Corte Costituzionale, coinvolgere i portatori di interesse nel processo decisionale migliora la qualità della regolamentazione ma a condizione che l'istruttoria normativa sia svolta in modo serio, trasparente e assicurando parità di accesso a tutti gli interessi.

In terzo luogo, perché si tratta di assicurare la concorrenza tra diversi operatori privati, specialmente in settori, come quelli energetici, in cui operano società a partecipazione pubblica che, naturalmente, godono di una facilità di accesso alle istituzioni pubbliche. 

La normativa in materia di finanziamento privato della politica, se non completata con una legge sul lobbying, consegna la politica nelle mani dei gruppi di interesse economicamente più forti.

L’attuale stato di emergenza, la lotta tra i vaccini di serie A e gli ipotetici vaccini di serie B, il ricorso a forme continue di indebitamento anche per alimentare fondi ad hoc come il fondo Patrimonio Destinato del valore di 44 miliardi gestito da Cassa depositi e prestiti ovvero agli strumenti di finanziamento europeo straordinari come il Recovery Fund pongono un evidente problema di trasparenza.

Per esempio, allo stato attuale, non è dato conoscere quali siano le lobby che incidono sulle decisioni relative agli ingenti investimenti derivanti dall’impiego dei fondi ottenuti, né tantomeno le modalità con cui tali soggetti operano o, ancora, i decisori con i quali interagiscono.

Queste ragioni sembrano emergere dalle parole di Cartabia e impongono su molti tavoli (compreso quello del sottosegretario Roberto Garofoli, grande esperto di questa problematica su cui aveva già lavorato quando era segretario generale di Palazzo Chigi con Enrica Letta presidente) molteplici opzioni di intervento.

Tracciare le decisione 

Una proposta avanzata da tempo, per esempio, è quella di introdurre regole per tracciare i flussi di relazione tra decisori pubblici e lobbisti, rendendo obbligatorio per i primi un registro degli incontri effettuati – previsione già sperimentata, senza oneri, in alcuni ministeri, a partire da quello della Transizione Ecologica.

Tale ipotesi potrebbe essere rafforzata dalla previsione della “legislative footprint” secondo cui ciascun parlamentare o membro del governo che presenti una proposta (dal disegno di legge all’emendamento) dichiara nella relazione di accompagnamento quale gruppo gliel’ha suggerita.

Ulteriori ipotesi, più articolate, sono all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera dove si discute di istituire, tra l’altro, un registro nazionale dei lobbisti e prevenire, con misure coerenti ed organiche, il fenomeno delle “revolving door” (tra i disegni di legge, degno di nota quello a prima firma Silvestri).

La mancata regolazione del lobbying ha trasformato le lobby nel paravento della politica: basta dire che è colpa delle lobby per scrollarsi di dosso ogni responsabilità.

Se le lobby fossero regolamentate e la loro azione fosse visibile,  i cittadini scoprirebbero questo gioco dello scarica barile: il paravento d'incanto cadrebbe e si saprebbe che la colpa dell’immobilismo non sono le lobby ma un certo modo di intendere la (bassa) politica.

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