Resa o resistenza? Nelle ultime settimane, specie dopo la presentazione della legge di bilancio che non affronta nodi rilevanti ma divisivi, è apparso chiaro che il governo si trova di fronte a un bivio. Una prima strada comporta la resa alla voglia di riprendersi al più presto il centro della scena da parte di alcune forze politiche che si sentono forti e puntano a elezioni anticipate.

Un segnale si è avuto con l’approvazione contro il parere del governo di due emendamenti (minori) alla finanziaria con il concorso di partiti della maggioranza (Lega e Iv).

Resta però da vedere se si tratta dell’avvio di un percorso che possa portare direttamente alla sfiducia al governo, o se invece si concretizzerà – come sembra più probabile -  attraverso il tentativo di spostare il presidente del consiglio al Quirinale (promoveatur ut amoveatur).

Ma Il governo e il presidente del Consiglio Mario Draghi potrebbero però prendere un’altra strada: resistere alle pressioni, facendo valere il peso di una legittimazione forte che ha portato all’Italia una credibilità inedita a livello internazionale.

Darsi quindi l’obiettivo di accompagnare l’uscita dalla pandemia verso un solido sviluppo inclusivo, con un profondo cambiamento istituzionale interno.

Un obiettivo che richiede la durata del governo fino alla fine della legislatura e che sarebbe a questo punto rinforzato dalla decisione del premier di chiamarsi esplicitamente fuori dalla competizione per il Quirinale; e eventualmente anche di presentarsi alla Camere chiedendone la fiducia.

Pare evidente che dal punto di vista degli interessi generali del Paese la resistenza (attiva) sarebbe preferibile, pur con tutti i rischi di fallimento che certo ci sono.

I motivi sono diversi. Anzitutto, la resa metterebbe a repentaglio gli stessi risultati finora raggiunti nella gestione della pandemia e nell’avvio del Pnrr. Tra le conseguenze: elevata probabilità di un’aspra competizione elettorale in una fase molto delicata, con perdita di credibilità e relativi effetti economici (tassi di interesse, spread, ecc.).

Inoltre, rischio di disperdere un ammontare di risorse, concentrate in pochi anni, di cu il Paese (e il Mezzogiorno) non hanno mai goduto.

Ancora più forte è un secondo motivo: sarà molto difficile che si ripresentino insieme e con lo stesso potenziale alcune condizioni economiche e politiche favorevoli al cambiamento (come ha ricordato Mario Monti sul Corriere della Sera): disponibilità di ingenti interventi finanziari della Ue e della Bce, e sospensione delle regole europee per la politica di bilancio; ma anche la già ricordata legittimazione internazionale del capo del governo. Una “finestra di opportunità” che non durerà a lungo.

Per cogliere queste ‘finestra di opportunità’, che non durerà a lungo, non bastano però le condizioni favorevoli. Occorre tracciare e comunicare un disegno complessivo del cambiamento, di come conciliare la crescita con un’efficace lotta alle disuguaglianze (tra le più elevate nelle democrazie avanzate).

Un quadro su cui mobilitare l’opinione pubblica e promuovere un vero patto per lo sviluppo inclusivo, sollecitando  la responsabilità delle forze del mondo delle imprese e del lavoro di fronte ai rischi di una politica piegata dagli interessi elettoralistici a breve.

                           

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