La riforma del sistema fiscale italiano avrebbe dovuto far ordine in un sistema che era stato devastato dall’introduzione della flat tax al 15 per cento per i redditi degli autonomi fino a 65.000 euro annui, come imposto dalla Lega nel governo gialloverde. Il governo Draghi si pronunciò a favore di un sistema fiscale progressivo e così si pensava che avremmo fatto marcia indietro riportando anche i redditi degli autonomi all’interno del sistema progressivo. Invece apprendiamo che il sistema della flat tax per gli autonomi non verrà soppresso, ma prorogato per due anni (un provvisorio che in Italia significa per sempre) attraverso una vera furbata: per evitare tentazioni di evasione da parte di coloro che, pur avendo redditi sotto i 65.000, potrebbero ritenere di aver redditi maggiori in futuro, si consentirà loro di assoggettare alla flat tax un reddito maggiore (sulla stampa si parla di 80.000 euro).

L’onorevole Luigi Marattin, deputato di Italia viva e presidente della commissione Finanze della Camera che sta seguendo questa riforma, con un suo intervento su questo quotidiano il 26 aprile, non ha apprezzato un mio precedente articolo (23 aprile) che denunciava questa ipocrisia. Capisco la difficoltà di varare una riforma del sistema fiscale che debba piacere a tutte le componenti del parlamento, nessuna esclusa. Ma così si finisce solo per creare un mosaico di interessi corporativi che finirà per depotenziare il sistema fiscale e favorire l’evasione.

L’allargamento “provvisorio” dell’area della flat tax motivato, secondo le parole di Marattin, per evitare che il lavoratore autonomo che ha «prospettive di un aumento di fatturato venga incentivato a farlo in nero», indica chiaramente il legittimo sospetto che esista una vasta area di evasione che andrebbe perseguita riportandola nell’area comune della progressività e non blandita con ulteriori vantaggi.

Con l’estensione della flat tax e con la riduzione delle aliquote fiscali da 4 a 3, anche per non penalizzare troppo i lavoratori dipendenti e i pensionati, il nostro sistema fiscale si avvicinerà molto a un sistema proporzionale, dato che molte rendite sono già assoggettate a un regime proporzionale. Dice Marratin che la progressività verrà salvaguardata da «deduzioni, detrazioni e benefit monetari». Ma questa è proprio la caratteristica di un sistema proporzionale, dove piccole dosi di progressività vengono realizzate da possibili deduzioni e detrazioni che rendono casuale e oscuro il sistema fiscale, dove la progressività è determinata non dal livello del reddito ma da una selva di incentivi a volte anche in contraddizione tra di loro.

L’errore del 1992

Marattin mi accusa di volere oggi una patrimoniale mentre in passato, quanto ero direttore generale di Confindustria avrei detto il contrario in un articolo ripescato nella rivista della Banca popolare pugliese del 1993. Forse non si è accorto, nel leggere l’articolo, che mi riferivo non già a una patrimoniale, ma alla sciagurata tassa una tantum sui depositi bancari introdotta solo nel 1992 e che determinò una improvvisa fuga di capitali all’estero generando una devastante svalutazione della lira. Un errore che costò caro al paese. Marratin dovrebbe invece ricordare che nel 1992 sottoscrissi l’accordo per la fine della scala mobile che comprendeva anche un’imposta annuale sul capitale delle imprese che accettammo come Confindustria per contribuire a risolvere le difficoltà del paese.

La riforma fiscale necessaria all’Italia avrebbe dovuto estendere l’area della progressività a tutti i redditi da lavoro ed eliminare la stortura dell’esclusione dell’Imu sulla prima casa, come ci ha più volte indicato l’Unione europea, dato che nella maggior parte dei paesi esiste l’imposta sulla casa per finanziare gli enti locali. Una tale soluzione avrebbe consentito di abbassare sostanzialmente l’Irpef e di ridurre l’evasione fiscale, data la maggiore difficoltà a nascondere il possesso di un immobile. Invece, la riforma del catasto viene osteggiata e i suoi eventuali risultati verranno congelati ai fini dell’accertamento dei redditi. Quanto alla lotta all’evasione, vi sono poche speranze che possa avere successo se non si farà un ricorso esteso alle banche dati esistenti, cosa che sembra frenata dall’Autorità della privacy. Anche di questo la riforma fiscale dovrebbe farsi carico, ma non se ne vedono tracce. Peccato.

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