Irving Fisher, uno degli economisti più famosi un secolo fa, sosteneva che «l’uomo d’affari sagace è tenuto fare costantemente previsioni». Mai stato così vero come oggi. Mentre i segnali di ripresa mondiale si fanno sempre più consistenti, le incertezze sugli sviluppi futuri dell’economia italiana restano enormi. Si possono sintetizzate in tre grandi interrogativi.

Come sarà la ripresa?

In primis, non c’è ancora stata una vera e propria ripresa economica dopo la seconda ondata di chiusure, ma si materializzerà nei prossimi mesi. Quanto sarà forte?

L’uscita dal lockdown l’anno scorso, ha fatto registrare un rimbalzo pirotecnico del 15,8 per cento (terzo trimestre 2020 rispetto quello precedente). Questa volta non accadrà. La maggior parte delle attività economiche sono già pienamente operative. Comunque, mentre nel trimestre corrente la ripresa sarà ancora contenuta, con la piena riapertura delle attività turistiche e di tutti quei settori che sono rimasti forzatamente chiusi negli ultimi mesi il terzo trimestre potrebbe essere effervescente.

I servizi languono

L’industria che esporta sta già pienamente sperimentando la vivacità della domanda mondiale. Tuttavia, i servizi, che tipicamente sono più esposti alla domanda interna, ancora languono. Dal quarto trimestre del 2019 all’ultimo del 2020, le famiglie italiane hanno accumulato risparmio aggiuntivo rispetto alle tendenze pre-crisi per circa il 5 per cento del Pil, che ad oggi probabilmente ha già raggiunto il 7 per cento. Se tutti questi quattrini venissero canalizzati entro fine anno verso i consumi, il Pil supererebbe facilmente i livelli di fine 2019. Ma questo difficilmente avverrà.

Dall’inizio della pandemia l’economia ha perso più di un milione di occupati. La compressione del reddito delle famiglie, la sua distribuzione fortemente sbilanciata, e l’incertezza sulle prospettive fa ritenere che il tasso di risparmio rimarrà in via precauzionale elevato per un po’ di tempo, a scapito dei consumi. In sostanza, chi ha più sofferto economicamente non avrà un reddito disponibile sufficiente a sostenere la spesa, mentre chi ha accumulato di più tenderà a consumare di meno in rapporto al proprio reddito. Il Pil che l’Italia raggiungerà a fine anno darà una prima provvisoria indicazione di quanto danno permanente, o quantomeno persistente, ci sarà stato.

L’effetto del Pnrr

Il secondo interrogativo è legato all’effetto degli investimenti e delle riforme del Programma nazionale di ripresa e resilienza. Per il governo, il pacchetto di investimenti porterà ad uno stimolo aggiuntivo per l’economia di 3,6 punti percentuali nell’arco dei prossimi sei anni. Se i quattrini saranno spesi male e le riforme non daranno la spinta attesa, la crescita potrebbe essere deludente. Ma potrebbero esserci anche sorprese in positivo.

Infatti, non è mai accaduto nella storia economica che tutti i paesi attuassero politiche di bilancio fortemente espansive quasi in contemporanea, anche se in modo non coordinato e disomogeneo. Questo con ogni probabilità porterà a esternalità positive difficilmente stimabili con gli attuali strumenti di previsione tarati su periodi “normali”. Lo stesso vale per i moltiplicatori degli investimenti, che potrebbero essere più elevati di quanto attualmente stimato, per via dell’ampia capacità inutilizzata. Inoltre, lo stimolo non sarà diluito dall’effetto dell’interscambio con l’estero. Anzi, la Commissione europea stima che l’espansione fiscale statunitense aumenterà la crescita in Europa di tre decimi di punto nel 2021-22.

Tassi vicini allo zero

Vi è anche un altro grande vantaggio che rende unica l’attuale situazione. Parte dei quattrini per gli investimenti verranno “regalati” dall’Europa, e per la parte residua i tassi d’interesse sui prestiti saranno vicini allo zero. È una situazione mai realizzatasi in passato e che probabilmente non si ripresenterà in futuro.

Con anche un pizzico di fiducia da parte di famiglie ed imprese, gli ingredienti per una ripresa vigorosa ci sarebbero.

Ma veniamo all’ultimo interrogativo. Le politiche di stimolo alla domanda sono molto utili per rimettere in carreggiata l’economia, ma hanno effetti temporanei. Per intenderci, quando si costruisce un ponte il Pil sale, e sale fino a che si lavora al suo completamento. Ma poi, una volta finito, l’effetto viene meno. Solo se il ponte sarà in grado di generare fonti durature di reddito in futuro, attraverso una maggiore efficienza e produttività, allora sarà di beneficio permanente all’economia. In termini tecnici, accadrà solo se l’accumulo di capitale produttivo sarà in grado di generare una maggiore crescita potenziale. E solo se questo avverrà si potrà dire che l’Italia avrà invertito il declino dell’ultimo quarto di secolo. Il governo ha generosamente quantificato in otto decimi di punto l’impatto previsto sulla crescita potenziale.

Ma per raggiungere questo obiettivo sarà anche necessaria una vera e propria rivoluzione meritocratica e della struttura degli incentivi nell’economia, per chiudere il gap che separa l’Italia da tutti i principali paesi più evoluti. In caso contrario, l’Italia si ritroverebbe alla fine del programma con il pugno di mosche rappresentato da una crescita tornata esigua, con il fardello di un debito pubblico ancora più elevato, e con un’Europa che a quel punto getterebbe la spugna.

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