«Condurremo una guerra economica e finanziaria totale contro la Russia. Anche il popolo russo ne pagherà le conseguenze. Stiamo prendendo di mira il cuore del sistema russo, Vladimir Putin, il suo governo, gli oligarchi ma anche l'intera economia russa». Con queste parole il ministro dell’Economia francese Le Maire ha chiarito quale sia l’obiettivo della Ue e degli Stati Uniti in questa fase confusa del conflitto in Ucraina.

In un messaggio solenne trasmesso in televisione in prima serata, il presidente Emmanuel Macron (che è anche presidente di turno dell’Ue ha insistito sul fatto che la Francia e l’Europa non sono in guerra con la Russia.

La batteria di sanzioni decisa nei giorni scorsi equivale a un atto di guerra volto a soffocare l’economia russa e far venire meno il sostegno a Putin. Come in ogni guerra, le conseguenze saranno sentite da entrambe le parti.

Sanzioni a vasto spettro

Gli occidentali pensano di “prendere di mira il cuore del sistema” toccando direttamente nel portafoglio gli oligarchi, fino ad oggi sostegno del sistema di potere di Putin, che garantiva i loro profitti; è questo il senso del congelamento e della confisca dei loro beni.

Il secondo colpo all’economia russa è costituito dall’esclusione di alcune banche russe dal sistema Swift, strumento di comunicazione che consente di effettuare transazioni tra istituzioni finanziarie in sicurezza.

Le banche escluse dal sistema potranno ancora effettuare transizioni, ma in modo molto più macchinoso e insicuro. Lo scopo è di impedire alle banche di operare, anche per rifinanziare i propri debiti in valuta estera. È per questo che è aumentato il rischio di insolvenza, che i corsi di borsa sono crollati, e che le autorità russe temono una corsa agli sportelli.

Tuttavia, la montagna dell’esclusione da Swift rischia di partorire un topolino. La lista comprende solo sette banche, tra cui non ci sarà ad esempio la Gazprombank (necessaria ai paesi europei per comprare il gas).

La misura più significativa è il congelamento delle riserve della banca centrale russa. Le banche centrali tengono le proprie riserve presso Sistemi di deposito accentrati (in Europa principalmente Euroclear e Clearstream) che hanno in custodia titoli finanziari sotto forma di certificati digitali, facilitando le transazioni e agendo da camere di compensazione.

Più della metà delle riserve russe accumulate grazie agli eccedenti commerciali del paese (principalmente la vendita di prodotti energetici) sono in valute occidentali e sono state congelate.

La banca centrale non potrà utilizzarle per proteggere l’economia dagli effetti della guerra e delle sanzioni: non potrà sostenere il valore del rublo (che questa settimana è crollato nonostante un aumento record del tasso di interesse) né ricapitalizzare le banche in difficoltà.

Il sistema finanziario russo rischia quindi il collasso sotto i colpi delle sanzioni. Se questo succedesse, il Putin avrebbe molte difficoltà a tenere sotto controllo il paese e a continuare nello sforzo bellico.

Il costo della guerra economica e finanziaria

Le sanzioni avranno anche un effetto sui paesi europei. In aggiunta alla guerra in Ucraina, avranno un impatto sul commercio ma questo non sarà enorme.

Dopo l’invasione della Crimea nel 2014 le importazioni russe di beni europei erano crollate e non sono mai tornate ai livelli precedenti.  L’impatto atteso sul Pil delle ulteriori difficoltà commerciali sarà trascurabile. Non bisogna dimenticare che in termini economici la Russia è un piccolo paese.

Diverso è il problema delle forniture energetiche: per alcuni paesi come l’Italia e la Germania, quasi il 50 per cento delle importazioni totali di gas viene dalla Russia, ed è insieme al petrolio la fonte principale di energia (in particolare per industria e consumi domestici).

Molti affermano che per essere efficaci le sanzioni dovrebbero includere il blocco delle importazioni di gas. Wolfgang Munchau nota che il congelamento delle riserve ha privato la Russia di circa trecento miliardi di dollari, che rappresentano poco più degli introiti annuali (duecentocinquanta miliardi) derivanti dalla vendita dei prodotti energetici.

Se per soffocare la Russia si dovesse arrivare al blocco delle importazioni, gli aumenti di prezzo di questi giorni sembrerebbero poca roba. Ma in una prospettiva più ampia, in cui nel quadro della transizione ecologica la dipendenza dal gas tenderà comunque a diminuire e i prezzi delle energie fossili ad aumentare, questo potrebbe essere solo un sussulto temporaneo.

I costi dell’incertezza

Quello di cui invece si parla troppo poco è di cosa succederebbe se le sanzioni fossero coronate da successo e la Russia si avvitasse in una crisi finanziaria.

Se è vero che dopo l’annessione della Crimea le istituzioni finanziarie occidentali hanno ridotto la loro esposizione, i legami rimangono molto forti, soprattutto con l’Europa.

È proprio la paura di una crisi bancaria indotta dal fallimento delle controllate nei paesi europei che ha spinto l’Europa a ridurre al minimo il numero di banche escluse dal sistema Swift, trasformando la misura in una scatola quasi vuota.

Con i mercati finanziari ancora convalescenti, con debito privato e pubblico a livelli record, gli investitori e le banche centrali sono oggi in attesa di capire quali saranno gli effetti dell’esclusione di banche e imprese russe dal sistema finanziario e commerciale globale. 

Quali saranno gli effetti delle sanzioni su profitti e liquidità di imprese e istituzioni finanziarie? Ci saranno banche che si troveranno nei prossimi mesi nelle stesse condizioni di Lehman nel 2008? Cosa succederà alle forniture di gas e petrolio con il crollo del rublo e con le difficoltà dei mercati finanziari russi? Quanti e quali costi dovranno sopportare le imprese occidentali per riorganizzare le proprie catene del valore per fare a meno della Russia isolata? Sono tutte domande a cui oggi nessuno può rispondere.

Philip Lane e Isabel Schnabel, membri del Consiglio direttivo della Bce, hanno di recente dichiarato che i rischi geopolitici entrano a pieno titolo nelle valutazioni della banca centrale e che rendono improbabile una normalizzazione della politica monetaria nonostante l’elevata inflazione.

Le sanzioni sono probabilmente il metodo più efficace per provare a contrastare un’aggressione inaccettabile. Tuttavia, l’opinione pubblica avrebbe meritato più chiarezza sui costi che queste comporteranno e sulle misure che i governi europei pensano di prendere per limitarli al massimo.

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