Eravamo stati facili profeti nel vedere un finale di legislatura difficile per Mario Draghi, dopo che aveva perso il treno per salire al Quirinale. Nei prossimi mesi la vicenda politica italiana diventerà molto ingarbugliata. Si avvicinano le elezioni politiche, dunque tutto il compromesso governativo, che da tempo si regge con un punto di colla, rattoppato e pieno di pezze, non potrà reggere.

Del resto, come farebbero le forze di governo a scontrarsi nella campagna elettorale convolando a un compromesso sulla riforma fiscale? E lo stesso sulla riforma della giustizia.

In Italia dunque sta per finire la comoda fase del rinvio. E i partiti politici si preparano alle elezioni. Il segretario del Pd Enrico Letta nelle interviste parla a un partito che non c'è: la promessa dei sacrifici, della guerra totale, la professione di macronismo da una parte e di filoamericanismo dall’altra finiscono per spingerlo a posizioni talmente esasperate che non trovano seguito fra i suoi. Dalla parte opposta abbiamo assistito alla farsa di Silvio Berlusconi all’Hotel dei Principi: il vecchio leader ha aperto un vecchio armadio, da cui è uscita vecchia polvere, già stantia decenni fa.

Il quadro instabile italiano sarà movimentato anche da quello che succede in Europa. In Francia c’è la ragionevole e confortante certezza che vinca Emmanuel Macron. Ma poi Macron dovrà forzosamente fare l’accordo per le elezioni di giugno. E la maggioranza decisiva sarà di Mélanchon. E questo cambierà tutto il quadro del sistema politico europeo. Anche in Germania si avvertono gli scricchiolii dentro la socialdemocrazia.

Il dopoguerra stravolgerà tutto il sistema Europa. Ma se la guerra non dovesse finire? Il 24 febbraio è cambiato il quadro internazionale. Il conflitto russo-ucraino viene considerato sotto l’aspetto immediato dell’aggressione della Russia. Ma dietro di essa c’è solo una vecchia storia interna al mondo russo e slavo, una questione di etnie e territori e confini, o c’è un’idea più forte?

L’idea più forte c’è, ed è quella di Putin. Che dice in sostanza: in questi ultimi trent’anni l’ordine globale non è stato assicurato da nessuna grande potenza né nessun club di potenze. Il disordine globale diventa ogni giorno di più manifesto. E allora un tempo di guerra permanente è il terreno sul quale dovrà misurarsi la capacità dei singoli stati di diventare ordinatori di un nuovo equilibrio. In quest’ottica l’intervento in Ucraina è un episodio.

Le guerre locali saranno il terreno di verifica della capacità di potenza dei singoli stati. Le gerarchie escono da guerre vinte, e invece fin qui i nuovi potenziali ordinatori del mondo non hanno fatto alcuna guerra: la Cina, l'India, i paesi dell'Africa, del Sud America.

Putin ha dunque giocato d’anticipo per porre la Russia al primo posto fra i paesi ordinatori del nuovo ordine globale, supportato da una teoria forte, autoritaria, che gli viene dalla sua esperienza, dalla tradizione recente e antica della Russia sovietica e zarista. Capire come si chiude la guerra in Ucraina è fondamentale per stabilire la graduatoria degli stati-potenza attraverso la guerra permanente, come vuole Putin. Forse anche Biden accetta la stessa sfida.

Le anime belle dicono all’aggredito: arrenditi perché non ti vada peggio. Non vedono che c’è una svolta nella direzione dell’ordine mondiale. Mandare armi oggi in Ucraina è sacrosanto non solo per vincere contro gli aggressori ma per fermare l’inizio della guerra mondiale permanente per ristabilire il club degli stati ordinatori del mondo.

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