Mamme, papà, nonni, studenti, crocifisso, presepe, Natale («guai a chi lo tocca»). Tessuto sociale, valoriale, economico. Bari, Lecce, Foggia, Brindisi, Taranto, Trani. La nostra storia, la nostra cultura, i nostri simboli, la nostra religione. Era da un po’ che non si sentiva un’infilata di elenchi salviniani così variopinta come quella con cui il ministro dei Trasporti ha decorato il suo prezioso intervento a Bari per le imminenti regionali.

Oltre a posti di lavoro promessi ai ragazzi pugliesi «se sarà costruito il Ponte sullo Stretto», proposta così concreta da dare misura di quanto il vicepresidente abbia coscienza delle distanze e di come ci si sposta nel Sud dell’Italia tra un’isola e la punta del tacco – del resto, non è materia di sua competenza –, Salvini torna a un grande classico del repertorio ultimamente trascurato, l’invasione di extracomunitari. Lo fa con la sua arma retorica preferita, la paratassi, di evidente ispirazione senechiana: arena sine calce, la definiva Caligola, e in effetti la funzione è quella di un pugno di sabbia negli occhi della platea.

Ma un avverbio inaspettato interrompe gli asindeti. «Cristianamente, fuori dalle palle» tuona il ministro, prova ulteriore di come la sua Lega abbia abbandonato i dettami del passato: Bossi avrebbe detto «i maroni». Ma soprattutto, prova del fatto che oltre a non conoscere la differenza tra l’aggettivo “islamico” e il sostantivo “musulmano” – e pazienza, non facciamo i pignoli – anche nella sua, di religione, dimostra qualche lacuna.

Sarebbe bastato ascoltare pochi secondi di un discorso qualsiasi di papa Francesco per recuperare le ore perse di catechismo sull’accoglienza cristiana nei confronti di tutti, soprattutto i migranti. E invece ci lascia così, salvinianamente con “le palle”, cit., a terra.

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