Matteo Salvini è l’anello debole della maggioranza. Il leader leghista non si è mai ripreso nei consensi dopo la batosta elettorale dello scorso anno, ha accettato il ruolo di subordinazione a Giorgia Meloni, è stato costretto a cancellare la sua linea politica filo-russa, ha subito la diminuzione dei suoi poteri informali per l’accentramento di competenze alla presidenza del Consiglio per la sintonia tra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la premier, ha visto fallire il suo ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sull’immigrazione poi scavalcato dalla politica internazionale del governo, non è riuscito a strutturare il suo partito nel sud Italia come avrebbe voluto.

L’euroscetticismo, inoltre, dopo la pandemia, il Pnrr e la sospensione del Patto di stabilità, non esercita più la stessa potenza politica di un tempo sugli elettori. E a breve, con o senza il voto leghista, l’Italia ratificherà il Mes. Salvini è un politico con difficoltà nel cercare una prospettiva, ha sbocchi limitati e un consenso che sembra ingessato. Per ovviare a questo problema egli sceglie la via della destra radicale, come la convention di Firenze di questo weekend testimonia.

Il leader leghista cerca così di vivere di luce riflessa dei probabili successi altrui: Front national in Francia, AfD in Germania, Geert Wilders in Olanda. Basterà per recuperare consensi occupare un’area politica estrema? Legittimo avere qualche dubbio soprattutto se si guarda la Lega stessa.

Davvero personalità Massimiliano Fedriga, Luca Zaia, Attilio Fontana e Giorgetti nutrono entusiasmo per partiti nazionalisti, dirigisti e protezionisti? E cosa ne pensa il cuore dell’elettorato leghista fondato sulla piccola-media impresa integrata nel mercato europeo? Non può essere la contrarietà all’immigrazione l’unico fattore per valutare la bontà della scelta, anche perché questo posizionamento rischia di chiudere la Lega in un angolo.

Salvini sostiene che in Europa si possa replicare lo schema italiano tra popolari, conservatori e nazionalisti ma sa benissimo che si tratta di uno schema impraticabile. Per ragioni nazionali ed europee questo accordo non si chiuderà mai perché il Ppe non accetterebbe mai di allearsi con Identità e democrazia. Dunque ciò a cui mira davvero Salvini è occupare l’area dell’euroscetticismo per poi rimproverare a Fratelli d’Italia e Forza Italia di essere stati troppo accondiscendenti con il centrismo europeista quando le cose si metteranno eventualmente male per il governo italiano sul piano sociale ed economico.

Ma davvero a Salvini conviene questa retorica di lotta contro burocrati, tecnocrati e banchieri europei i quali però al contempo valutano in modo per lo più positivo il lavoro del governo Meloni? È vero che così il leader leghista segna una posizione netta, ma forse dovrebbe riflettere alle ripercussioni interne e internazionali sulla credibilità della Lega se i voti alle europee non crescessero rispetto alle ultime politiche nonostante questa torsione verso la destra radicale. A volte, di fatti, scavare una trincea può diventare una trappola più che una postazione di guerra vantaggiosa.

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