«Vi ricordate di Davide contro Golia?», dice Matteo Salvini, come a chiarire che non è lui il gigante. «Non dico quali, ma almeno tre nuovi partiti vogliono entrare nel nostro gruppo sovranista!», prosegue nei corridoi della kermesse fiorentina, come a far da controcanto alla lista delle assenze che si allunga, o alle pedine che i meloniani gli sfilano dal gioco quando meno se lo aspetta.

Chissà se Salvini si è reso conto che la Fortezza da Basso di Firenze, dove ha chiamato a raccolta questa domenica gli alleati sovranisti di Identità e democrazia, è metafora di un leader costretto ad arroccarsi.

Non si tratta tanto del fatto che i leader di estrema destra con velleità di governo – quelli che politicamente pesano – lo hanno lasciato solo sul palco, come se fosse lui a pesar poco. Non è arrivata Marine Le Pen «per una precisa scelta», come spiega il suo delfino Jordan Bardella. Non è arrivato Geert Wilders, alle prese con la scommessa di un governo; poi persino “il Salvini portoghese” – appellativo di André Ventura – ha ripiegato sul messaggio video.

È vero insomma che il leader leghista con l’ambizione di riunire le destre d’Europa non è riuscito a radunare neppure la propria. Ma lo smacco più profondo è un altro: nel grande schema dei posizionamenti europei, con l’estate delle europee a ridosso, Giorgia Meloni ancora una volta lo sta beffando.

L’utile sovranista

La prima volta – era il 2021 – Salvini aveva i seggi, ma Meloni ha avuto l’astuzia. Lui tentava l’unione di conservatori e sovranisti, lei che ancora non aveva vinto le elezioni ma presiedeva i conservatori ha fatto saltare il banco (e l’unione delle destre) accaparrandosi così il canale coi popolari europei.

Oggi lui tenta la rivincita in vista del 2024; ma più scalpita, più non fa che prestarsi al gioco di lei. Le sparate filorusse di Alternative für Deutschland dal palco di Firenze, così come le giravolte dell’estrema destra romena, per non parlare delle frasi dette a mezza bocca dai meloniani, indicano che Salvini sta facendo il lavoro sporco che Meloni non può più permettersi di fare; e più lui polarizza per far rumore e prender spazio, più contribuisce a normalizzare lei.

«Le sanzioni alla Russia sono controproducenti, e poi bisogna ripristinare Nord Stream 2!», tuona dal palco Tino Chrupalla di AfD. Salvini non ha fatto in tempo a dire ai cronisti che «in Ue abbiamo sempre votato per l’Ucraina», che l’alleato dà l’ennesimo strattone alla kermesse. Nel 2021 Salvini era pronto a sacrificare l’estrema destra tedesca per l’unione delle destre, ma oggi «AfD ha sempre più consensi – dice a Domani il leghista Marco Zanni, che guida i sovranisti all’Europarlamento – e non rinneghiamo affatto l’alleanza». Neppure di fronte alle uscite pro Russia? Neppure.

Quando Zanni lamenta che il centrodestra, i popolari, «fanno gli schizzinosi ma poi dietro le quinte vogliono cooperare con noi», sta confermando la dinamica in corso: la Lega lasciata a fare il lavoro sporco. E quando Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia, interrogato da Domani su cosa distingua conservatori e sovranisti in vista delle europee, trova nella «governabilità» la parola giusta, sta ribadendo lo schema.

La Lega sta giocando il ruolo che i conservatori avevano disegnato per lei; quel ruolo lo aveva spiegato a Domani già mesi fa il capogruppo di Ecr, il meloniano Nicola Procaccini: la Lega dovrebbe fare da pontiere come in precedenza ha fatto Meloni con il Ppe. Nei tempi del cordone sanitario smantellato, i crismi dell’impresentabilità si spostano sempre più in là; tra i protagonisti di Firenze, per esempio, coi neofascisti polacchi i conservatori dialogano, mentre le uscite filorusse di AfD vengono per ora lasciate a Salvini. C’è sempre qualche indigeribile da normalizzare pian piano.

Da Aur a Vannacci

Questa dinamica aiuta a capire anche perché George Simion, il leader dell’estrema destra romena di Aur, sia apparso ondivago: è intervenuto a Firenze, ma poco prima ha chiarito di ambire a Ecr.

«Seguo la lezione di mio nonno», dice lui a Domani: «Quando sei l’ultimo arrivato aspetta e vedi cosa fanno i più esperti». Sia Simion che Fidanza riferiscono che il percorso di avvicinamento di Aur ai conservatori è in corso da tempo, ma allora perché l’illusione salviniana? Il punto è che dove va Aur, verosimilmente non andrà Fidesz di Viktor Orbán; e se i meloniani dopo giugno stringeranno di più coi popolari, per loro il premier ungherese sarà più che mai scomodo. Quindi per ora meglio prendere Simion a Salvini, mentre Orbán saluta lui e Firenze via X.

Gli auguri di Salvini al corteggiato generale Roberto Vannacci, fresco di nomina a capo di stato maggiore del comando delle forze operative terrestri del comando operativo dell’esercito, paiono l’ennesimo segnale della contesa interna alle destre. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, con questa nomina che ha sollevato più di una polemica («pretestuose» le ha definite Crosetto), potrebbe aver cercato di disinnescare una bomba elettorale leghista alle europee (difficilmente Vannacci si candiderà con la Lega, come sogna Salvini, o farà una sua lista).

Finché Meloni tiene stretta la guida delle operazioni, la kermesse fiorentina resta poco più che una sagra di vecchie parole d’ordine e nuovi imbarazzi: dal palco i sovranisti si scagliano contro l’Unione europea, i migranti, l’islam, l’agenda verde, la Bce, George Soros, e ovviamente «la sinistra», alla quale comunque copiano – per stravolgerlo – lo slogan altermondialista. «Un’altra Europa è possibile!», dice Salvini. Stessa cosa dice – in francese – Bardella.

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