In mancanza della prova regina, è giusto che Francesco Acerbi sia stato assolto dall'accusa di razzismo. L'opposto avrebbe aperto la stura a chissà quali furbizie nel futuro, furbizie a cui il calcio ci ha purtroppo abituato. Non siamo a Torquemada, non basta il sospetto. Eppure la sentenza del giudice sportivo Gerardo Mastrandrea lascia un retrogusto amaro perché un conto sono i fatti e un conto è la percezione di essi, alimentata dalla maniera ondivaga in cui si è dipanata l'intera vicenda.

Subito dopo l'episodio Juan Jesus, il calciatore a questo punto per legge solo “sedicente” offeso, si rivolge all'arbitro per chiedere soddisfazione mentre Acerbi si avvicina e non tanto l'incerto labiale decrittato quando l'espressione del suo volto sembra implorare un perdono. Sembra. Juan Jesus, signorilmente, accetta le scuse, derubrica il tutto alla concitazione della pugna, «cose di campo» come spesso si giustificano certe voci dal sen fuggite.

Acerbi viene escluso dalla nazionale benché l'allenatore Spalletti si dica certo della sua innocenza e sembra una contraddizione se non fosse che viene chiamata in causa la solita tranquillità di cui necessita un atleta. Ma se non aveva nulla da rimproverarsi perché era irrequieto? La punizione subìta cambia i connotati della vicenda. Acerbi adotta una linea di difesa intransigente, «ho detto: ti faccio nero». E a questo punto sarebbe Juan Jesus il bugiardo e non ci sta. Ribadisce con veemenza la sua versione. La frase che ha sentito è: «Vai via, sei solo un negro». È la parola dell'uno contro la parola dell'altro. Nei due casi “nero” o “negro” c'è sempre. Prendendo per buona la versione edulcorata nemmeno «ti faccio nero» è elegante (eufemismo).

La sensazione pressoché unanime è che si arriverà a una squalifica del calciatore dell'Inter e sarebbero dieci giornate, codici alla mano. Invece arriva l'assoluzione. Non c'è una delle millanta telecamere sui campi della serie A che ha saputo leggere sulle labbra dei protagonisti. In dubbio pro reo. Per conseguenza allora Juan Jesus sarebbe un calunniatore, Acerbi potrebbe chiedere l'autorizzazione per rivolgersi alla giustizia ordinaria e denunciarlo. E sarebbe un'inversione clamorosa della figura dell'offeso.

In questo Paese dove siamo abituati a verdetti discutibili ci si aggrappa sempre, sconsolati e impotenti, al proverbiale Pasolini: «Io lo so, ma non ho le prove». Dite che il poeta si riferiva a cose più serie? Perché, il razzismo non lo è?

© Riproduzione riservata