A meno di due mesi dalle elezioni per il parlamento europeo, il dibattito politico e culturale italiano ruota per lo più intorno ad alcune logore tematiche di assoluto provincialismo. Riemerge sotto mutate, un po’ farsesche, spoglie la questione morale sulla quale Bari e Torino infliggono/infliggerebbero un colpo decisivo (?) alla superiorità morale della sinistra.

Ma la questione morale in politica non è mai stata unicamente pensabile come “Non rubare”. Attiene alle modalità di rapporti fra politica e società, al nepotismo (amichettismo?), al controllo vizioso e alla manipolazione delle fonti e dei mezzi di informazione, al maltrattamento in più forme dei cittadini a opera del potere politico, non solo di governo. Se no, non è questione morale. Semplicemente è questione giudiziaria.

Nella misura in cui la questione giudiziaria riguarda la politica e i politici, l’eventuale superiorità sta nella rapidità e nella limpidità della risposta. Nessuna accettazione di comportamenti al limite; nessun rinvio alle calende greche. Passi indietro o di fianco e sospensioni dall’attività istituzionale e politica. Nessun garantismo peloso.

A porre fine all’egemonia culturale della sinistra stanno cooperando in molti i cui meriti culturali pregressi francamente mi sfuggono e i cui obiettivi culturali mi paiono confusi, anche perché la mia concezione di cultura è assolutamente poco nazional-patriottica (ahi, dovevo forse scrivere “nazional-popolare” e citare quel monumento di egemonia della sinistra che è il Festival della canzone italiana di Sanremo?).

Non vedo, peraltro, l’irresistibile ascesa della cultura di destra nonostante la promozione di alcuni dei suoi pochi rappresentanti a ospiti frequenti dei talk show da mane a sera. Sfondamenti culturali di destra non ne sono stati fatti; prestigiosi premi internazionali non ne sono stati vinti.

Non ho finora neanche visto un serio confronto culturale fra gli esponenti dell’egemonia tristemente declinante e quelli dell’egemonia ascendente, arrembante. Se con cultura intendiamo, come dovremmo, anche tutto quanto attiene alla vita e alla morte, temo l’ascesa di una cultura che nega qualsiasi libertà di scelta. Deleteria sarebbe qualsiasi egemonia “culturale” religiosa. Preoccupanti sono gli “intellettuali” di sinistra che per mostrarsi superiori lodano parole e scelte dei papi di turno. Talvolta, sembra che sia venuta meno non tanto l’egemonia, ma la fede (ops, fiducia) nella ragione.

Risollevare il dibattito e metterlo su binari culturali e politici produttivi è possibile aprendo gli occhi e le orecchie a quel che si discute e si decide nell’Unione europea, non derubricando come non vincolante il voto a larga maggioranza per l’inserimento dell’interruzione della gravidanza nella Carta dei diritti dell’Ue, ma confrontandovisi.

C’è un tempo per le polemichette di parrocchia e un tempo per i dibattiti e le scelte che riguardano più di 400 milioni di abitanti nell’Unione europea. Il tempo è quello della campagna per l’elezione del parlamento europeo, l’istituzione che rappresenta con crescente efficacia le nostre preferenze e i nostri interessi, ma anche le nostre aspettative e i nostri valori.

Farvisi eleggere con l’obiettivo di limitarne i poteri e ridurne le competenze è operazione sovranista, legittima, ma deliberatamente non “europeista”. Poiché le idee e anche i valori camminano sulle gambe degli uomini e, anche (!), delle donne, è giusto che le candidature, esperienza, competenza, opportunità, siano oggetto di discussione. Non debbono, però, impedire o addirittura cancellare il confronto su quale Europa vorremmo nei prossimi cinque importantissimi anni.

La mia sintesi è semplicissima: una Europa luogo di diritti e di democrazia, di diversità e di accoglienza, capace di difendersi. Sono sicuro che gli ex egemoni e gli aspiranti egemoni declineranno splendide risposte europee, politiche e culturali, alle sfide che incombono. Il tempo è questo.

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