Tutto è partito da un’inchiesta della procura di Bari, che a febbraio scorso ha svelato gli intrecci tra mafia, politica e imprenditoria cittadina. Poi è intervenuto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi con l’avvio dell’iter per verificare l'ipotesi di scioglimento del capoluogo pugliese. Fino alla nuova indagine del 15 aprile, che coinvolge l’assessore al Bilancio Alessandro D’Adamo per truffa ai danni dell’Unione europea.

Episodi diversi, ma che alimentano le polemiche che nelle ultime settimane hanno fatto di Bari l’epicentro delle cronache nazionali. In mezzo ci sono stati arresti per voto di scambio e sospette infiltrazioni mafiose, accesi scontri politici e terremoti nella giunta regionale. Il tutto a poche settimane dalle elezioni comunali a Bari.

L’inchiesta “Codice interno”

L’inchiesta “Codice interno” della procura di Bari ha portato, lo scorso 26 febbraio, all’arresto di 130 persone. Tra queste ci sono nomi di politici, come l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri e la moglie Maria Carmen Lorusso, ormai ex consigliera comunale eletta nelle fila del centrodestra e poi passata in maggioranza.

Per i due l’accusa è quella di scambio elettorale politico-mafioso in relazione alle elezioni comunali di Bari del 2019. L’inchiesta della Dda ha portato anche al commissariamento dell’Amtab, la società del comune concessionaria del servizio di trasporto pubblico locale che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata infiltrata dai clan criminali baresi che ne decidevano anche le assunzioni.

La commissione del Viminale

Il 19 marzo scorso si è mosso il ministero dell’Interno, con Matteo Piantedosi che ha nominato una commissione di accesso per verificare l'ipotesi di scioglimento del comune di Bari, guidata da un’amministrazione di centrosinistra.

Immediata la reazione del sindaco di Bari, Antonio Decaro, esponente del Partito democratico e presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci), che ha accusato il titolare del Viminale di aver messo in piedi «un atto di guerra» nei confronti della città. «L’atto, come un meccanismo a orologeria segue la richiesta di un gruppo di parlamentari di centrodestra pugliese. Incuranti delle parole del procuratore distrettuale antimafia che in conferenza stampa ha detto testualmente che “l'amministrazione comunale di Bari in questi anni ha saputo rispondere alla criminalità organizzata"», ha spiegato il primo cittadino. 

Se per il Viminale l’avvio dell’iter per verificare l’ipotesi di scioglimento del comune è un «atto dovuto», per il sindaco le tempistiche sono più che sospette. La commissione è stata nominata sì dopo la fine dell’inchiesta, ma a pochi mesi dalle elezioni comunali che si svolgeranno in contemporanea con le europee, dove Decaro dovrebbe essere uno dei nomi di punta schierati dal Pd nella circoscrizione Sud.

La difesa di Decaro e le polemiche sulle parole di Emiliano

Il caso è diventato immediatamente politico. Il Partito democratico, a iniziare da Elly Schlein, ha preso subito le difese di Decaro. Ma sono state alcune parole di Michele Emiliano ad alimentare ulteriormente le polemiche sul “caso Bari”.

Durante una manifestazione antimafia, il 23 marzo, il governatore dem della Puglia ha raccontato di essere andato, quand’era sindaco, con l’allora assessore Decaro a casa della sorella del boss barese Antonio Capriati, in carcere da 33 anni, per discutere della pedonalizzazione di Bari vecchia. Immediata la smentita di Decaro: «Emiliano non ricorda bene. È vero che lui mi diede tutto il suo sostegno davanti alle proteste di buona parte del quartiere quando iniziammo a chiudere Bari vecchia alle auto, ma non sono mai andato in nessuna casa di nessuna sorella».

Un giudizio critico è arrivato dal presidente del M5s Giuseppe Conte: «Noi siamo per la legalità e la trasparenza». Un antipasto del terremoto politico che sarebbe scoppiato da lì a poco. Alcuni esponenti di centrodestra hanno poi rincarato la dose, appellandosi a una foto che ritraeva Decaro con due donne, una delle quali era effettivamente la sorella di Antonio Capriati. «Era solo un selfie durante la festa di San Nicola, non sapevo chi fossero», la difesa del sindaco.

«50 euro per un voto»

Polemica chiusa? Tutt’altro. Perché qualche giorno dopo una nuova inchiesta, sempre della procura di Bari, ha portato alla luce un sistema di voti comprati a 50 euro e pagati a elettori schedati in elenchi buoni per ogni evento elettorale. Tra gli indagati c’è Anita Maurodinoia, assessora ai Trasporti della giunta regionale guidata da Michele Emiliano, che si è dimessa.

Nello stesso filone sono coinvolti anche il marito Sandro Cataldo, ritenuto promotore e organizzatore dell’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, e il sindaco di Triggiano Antonio Donatelli. 

Secondo la procura esisteva un sistema di compravendita dei voti, una macchina rodata per acquistare i consensi: 10 euro per i giovani che accompagnavano ai seggi chi doveva votare e 50 euro per gli elettori, suddivisi anche in gruppi familiari. Secondo le tesi dell’accusa, al centro di questo sistema c’era Sandro Cataldo. E a detta di Cataldo, come emergerebbe da alcune intercettazioni, il trionfo elettorale veniva comunicato anche al presidente Emiliano, totalmente estraneo all’indagine.

Lo scontro tra Pd e M5S

Il terremoto giudiziario diventa subito un sisma politico. Riguarda due attori, Partito democratico e Movimento 5 stelle, e tre piani.

Quello comunale innanzitutto. A Bari si voterà per il rinnovo del consiglio regionale e per la scelta del futuro sindaco, in contemporanea con le elezioni europee. Nel capoluogo pugliese erano in corso le primarie per scegliere il candidato unitario di centrosinistra. È stato Conte a far saltare il banco: «Non ci sono più le condizioni per svolgere seriamente le primarie (previste per domenica 5 aprile, ndr), riteniamo che le ragioni che ci hanno spinto a sostenere il candidato Laforgia permangano immutate, anzi si rafforzano», ha spiegato. 

L’avvocato Michele Laforgia era (e rimane, per ora) il candidato del M5s (ma anche di Fratoianni), mentre il Partito democratico puntava su Vito Leccese, appoggiato da Antonio Decaro e da Michele Emiliano.

Dopo giorni in cui i due principali azionisti del “campo largo” sembravano voler correre su binari separati, è uscito il nome di Nicola Colaianni, spinto dall’ex governatore pugliese Nichi Vendola, come possibile figura capace di rimettere insieme Pd e 5 stelle. Ma niente da fare: il 15 aprile l’ex magistrato ha rinunciato alla candidatura unitaria del centrosinistra: «Ho riscontrato che, pur nella sostanziale convergenza ideale e programmatica, permangono rigidità che non rendono possibile una composizione». Per ora i due partiti correranno da separati in casa: i 5 stelle con Laforgia, il Pd con Leccese.

C’è poi un piano regionale. Dopo l'inchiesta sul voto di scambio che ha coinvolto Anita Maurodinoia, in squadra con Michele Emiliano e che poi si è dimessa, Conte ha deciso di uscire dalla giunta pugliese, dove i 5 stelle erano presenti con un assessore. «Non combattiamo solo Meloni e soci, non facciamo sconti nemmeno a chi è nel nostro campo. Ci assumiamo la responsabilità di contribuire alla disinfestazione e all'opera di pulizia nel mondo politico», ha spiegato il presidente del Movimento. E nella stessa giornata, a fine serata, è arrivata la posizione di Elly Schlein che, nonostante le critiche per la scelta di Conte, ha chiesto a Emiliano «un netto cambio di fase in Puglia».

C’è infine inevitabilmente un piano nazionale, con le questioni pugliesi che rendono più difficile la costruzione del campo largo.

Gli arresti degli ultimi giorni

A dare un motivo in più al Movimento 5 stelle nella sua scelta di tirarsi fuori dalla giunta Emiliano è stata l’ennesima bufera giudiziaria. Il 10 aprile, il giorno prima della decisione di Conte, l’ex assessore pugliese e leader di Senso civico, Alfonso Pisicchio, e suo fratello Enzo, sono finiti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'inchiesta della procura di Bari. I reati contestati vanno dalla corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione per l'esercizio della funzione, fino alla truffa, falsità materiale, turbata libertà degli incanti.

Per l’ex assessore le accuse riguardano il periodo in cui era in carica in regione quando avrebbe utilizzato «la sua influenza politica e le sue relazioni, tramite suo fratello Enzo, per una gestione clientelare del suo ruolo, con favoritismi per ottenere ritorni in termini di consenso elettorale, mediante assunzioni nelle imprese favorite o avvantaggiate di persone che assicurano il voto e che avevano militato anche nel suo partito».

L’ultimo caso, in ordine cronologico, risale al 15 aprile, quando l’attuale assessore al Bilancio del comune di Bari, Alessandro D’Adamo, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura europea per truffa aggravata e fatture false. L’indagine riguarda una società di cui è rappresentante legale, Kronos, che avrebbe ottenuto illecitamente i finanziamenti europei di Garanzia giovani e avrebbe emesso fatture per operazioni finanziarie in realtà mai avvenute.

Il procedimento non riguarderebbe la sua attività politica, ma il sindaco Decaro ha comunque rimosso D’Adamo dalla sua giunta.

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