Una ragazza nata a febbraio 2002 affida ai social network il suo incubo: «Quando è iniziata la pandemia avevo ancora 16 anni e adesso ne sto per compiere 18». E' così la disperazione invisibile dei giovani, tre mesi per loro sono come tre anni per i loro genitori. Forse non vanno a spaccare vetrine solo perché sono annichiliti dalle loro vite sospese.

I politici si sciacquano la bocca con la parola giovani e gli hanno anche intitolato il piano Next Generation Eu. Ma se un ragazzo di 15 anni ci chiede che futuro lo aspetta, che cosa gli rispondiamo? Che con i 209 miliardi del Recovery Plan sarà informatizzata la giustizia e costruita tra 15 anni la ferrovia ad alta velocità Salerno-Napoli?

E' questa la visione del futuro che gli stiamo offrendo, insieme ad altri 3.500 euro di debito che si aggiungono ai circa 40 mila che ha trovato accanto alla culla?

C'è una distanza siderale tra la lotta di potere in corso tra i politici e la necessità di riprogettare  il  modello di società. Il dato da cui partire è che il problema vero dell'Occidente, e dell'Italia in particolare, non è il Covid ma l'insostenibilità sociale della competizione globale.

Forse la ricorrenza dei virus ci costringerà a vivere per sempre con la mascherina, forse verranno vietati per sempre i ristoranti e i teatri. Ma la pandemia ha aggravato e reso evidenti le tare antiche dell'economia italiana. La crisi strutturale e l'epocale impoverimento sono iniziati molto prima che nascessero i nostri liceali.

Venerdì scorso l'ex presidente del Consiglio Enrico Letta ha spiegato la sua visione del futuro in un programma televisivo d'intrattenimento, e non poteva essere altrimenti, visto che i luoghi della politica sono occupati da spettacoli di cabaret.

Letta sta da anni con un piede dentro e un piede fuori dalla politica e questo gli consente di parlare di cose serie. Ha detto che sta cambiando tutto e che non sarà il vaccino a rimettere le cose a posto (anche perché a posto non erano, ndr). Ha detto: «Io credo che una delle cose principali che dobbiamo avere tutti in testa è che è veramente finito il tempo in cui si andava a scuola o all'università e poi si lavorava. Adesso per tutta la vita dobbiamo adattarci, cambiare, essere pronti a un cambiamento». E ha specificato: «C'è la necessità di proteggere i lavoratori in modo diverso perché c'è molta maggiore precarietà, e soprattutto di far sì che le persone sappiano che il cambiamento è continuo, si adattino e quindi vivano per esempio la formazione per tutta la loro vita».

Queste parole evocano uno scenario mostruoso. La parola non detta è "competitività". Tutto cambia e tutti devono essere flessibili, pronti a cambiare se stessi, ad adattarsi  al cangiante scenario competitivo.

Come dire che se il cambiamento climatico farà salire di qualche metro il livello del mare, dovremo imparare a nuotare e diventare tendenzialmente dei pesci: è realistico ma non attraente. E quindi come si fa a dire a un ragazzo di 15 anni che la sua vita sarà una giostra di posti di lavoro di durata imprevedibile, che mentre farà un mestiere dovrà imparare il prossimo, che dovrà abituarsi a periodi di disoccupazione assistiti dalla protezione sociale o al nomadismo? E che fare figli sarà un lusso dei ricchi? E questa sarà la vita dei vincenti, di quelli che, facendo una vita orribile, rimarranno competitivi. Nella competizione c'è chi vince e c'è chi perde. E chi non ce la fa?

Nella partita internazionale, per la quale i prezzi più salati li hanno pagati i più poveri come da tradizione, l'Italia ha già perso e i suoi generali non lo vogliono ammettere.

La classe dirigente pensa solo a iscriversi al prossimo campionato. Perderemo ancora. Forse è ora di cambiare gioco, se vogliamo dare una prospettiva ai giovani. Questa discussione, nei buoni propositi, avrebbe dovuto iniziare un anno fa, invece Letta è l'unico che ne parla.

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti fu solenne il 28 gennaio 2020: «Gli italiani si sono rotti le scatole di una maggioranza che litiga sempre». Detto fatto. Il primo anno l'abbiamo buttato. Speriamo nel prossimo.

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